Il Trasciatti http://trasciatti.it Lunario inattuale di letteratura e desueta umanità Tue, 22 May 2012 09:37:52 +0000 http://wordpress.org/?v=2.9.2 en hourly 1 Marco Innocenti: cinque poesie http://trasciatti.it/2012/05/22/marco-innocenti-cinque-poesie/ http://trasciatti.it/2012/05/22/marco-innocenti-cinque-poesie/#comments Tue, 22 May 2012 09:32:36 +0000 Trasciatti http://trasciatti.it/?p=2140

Sogni

I miei sogni a pancia in su
galleggiano grassi, inerti
nel flusso scuro della notte
dal sonno aspettano un tuo segno
ma la prima luce del giorno
avverte che la deriva arriva
                                                         che ora sono morto, morto
                                                         e che mi hai ucciso tu
                                                         i miei sogni galleggiano
                                                         grigi, pallidi a pancia in su

Il saggio

Ti spiego il mondo, disse il saggio
in dieci lezioni da cinquanta euro l’una
grazie ma non ho soldi, dissi
guadagno poco e spendo molto d’affitto
non preoccuparti, disse il saggio
ti faccio un prestito da vero amico
a interessi venti per cento
prima rata dopo le feste
così il mondo me lo aveva già spiegato
e gli dissi di andarsene affanculo

Verità

Io ho le mie parole
le scrivo, le dico
a qualche amico che ho
grazie no, le tue menzogne non mi servono
ho una verità, la mia
per come la conosco io
forse non è molto, certo non è bella
ma è la mia lingua
parole belle o brutte
scritte con il sangue
e più spesso con le lacrime
sono tutte vere

Potresti

Potresti indossare un saio
o un sari indiano
e ti guarderebbero solo le labbra carnose
il seno pronunciato, l’onda dei fianchi
potresti indossare un saio
o un sari indiano
e il tuo incedere lento
si vedrebbe comunque

Lavavetri

Lavami i vetri
e già che ci sei lavami anche la coscienza
ti do cinquanta centesimi

]]>
http://trasciatti.it/2012/05/22/marco-innocenti-cinque-poesie/feed/ 0
Riletture: Le cucine celesti di Roberto Amato http://trasciatti.it/2012/05/22/riletture-le-cucine-celesti-di-roberto-amato/ http://trasciatti.it/2012/05/22/riletture-le-cucine-celesti-di-roberto-amato/#comments Tue, 22 May 2012 08:53:47 +0000 Trasciatti http://trasciatti.it/?p=2137

Di cucine e di altri universi

di Giuseppe Grattacaso

In luoghi confinati, insieme familiari e misteriosi, si muove la poesia di Roberto Amato. La geografia di Le cucine celesti si sviluppa a partire da interni segnati dal trascorrere del tempo, da stanze ingombre, da cucine dove le donne si muovono con armoniosa e circospetta solerzia, da giardini immediatamente a ridosso delle case. Sono le terre conosciute e quotidiane, ma allo stesso tempo mitiche e dunque leggendarie, sulle quali agiscono personaggi dai nomi e dai volti familiari, non si sa se veramente presenti o se vivi solo nella memoria.

Le cose, attestate in luoghi prossimi e consueti, e ancora di più i corpi degli uomini e degli animali, e le loro appendici, non sembrano però soddisfatti della loro posizione, o forse non sono del tutto consapevoli della condizione che loro attiene. Ci restituiscono infatti, come in un evocativo e incantato gioco di specchi, l’immagine di altre forme, di spazi lontani e sconosciuti, di sconfinate praterie siderali e di costellazioni. Il figlio Lapo, uno dei tanti personaggi di quel lessico familiare che si propone costantemente al lettore, si accorge “fin dal primo vagito” che il padre ha le mani fatte d’aria e che “nel vestito / non c’era quasi niente”, tranne la voce che è chiusa “nella bambagia della barba finta / e lunga / e sfusa / come i pappi dell’Orsa / e le lattigini / delle folte comete”.

Sembra insomma che uomini e oggetti non riescano a stare al loro posto, e che, situati davanti agli occhi del poeta, facciano di tutto per confondere la visione, per scivolare in territori a cui non appartengono, per evaporare verso l’alto, in cerca di un luogo diverso, del punto d’approdo a cui credono di essere destinati. Succede perciò che ancora la barba “è un cavolfiore così morbido / si svolge per tutto il firmamento // (per il dolce e fatale / Principio della Levitazione Universale)”.

Il Principio della Levitazione Universale è, a ben guardare, il contrario della legge di gravità: per esso insomma le cose tenderebbero ad andare verso l’alto, a ritrovare una loro identità e un loro posto accanto alle nuvole, a contatto con uccelli e astri celesti. Il mondo terreno aspira a una leggerezza che si intravede nella difficoltà di uomini, animali e cose ad accettare la loro condizione e il loro posto. Tutto questo permette anche un fitto dialogo tra gli elementi, non importa di quale regno fisico essi facciano parte.

Nella poesia di Amato le presenze della natura lontana e quelle del mondo familiare, le figure varie, animate e non, che compongono la realtà di ogni giorno, si scompongono e si sovrappongono. Così in una drogheria la vegetazione nelle sue varie forme, ma anche gli animali e soprattutto gli uccelli, possono fare capolino tra alici sfilettate, prosciutti e capocolli. L’incanto non è solo nella mente di chi vede e poi restituisce gli elementi e la narrazione della visione, ma ingrediente stesso del mondo, che si presenta a noi confuso e disordinato, imperfetto o forse fornito di una perfezione che non abbiamo gli strumenti per intendere ed afferrare. Accade così che il droghiere che dovrebbe “dividere il creato negli scaffali”, finisce per fare confusione, per mescolare prodotti e cose provenienti da settori e da mondi diversi.

In effetti, quelle che a prima vista possono apparire immagini metaforiche, termini di paragone utili a comporre una figura retorica, nella lingua poetica di Amato entrano a far parte della realtà a pieno diritto, si sistemano con forza e convinzione accanto agli oggetti che per più antica consuetudine appaiono collocati nel posto che gli spetta. E’ così che drogheria e cucine (che sono appunto, non dimentichiamolo, celesti, mettendo insieme l’alchimia quotidiana e tanto concreta della lavorazione del cibo con la spirituale evanescenza delle presenze immateriali e incorporee) diventano gli spazi dove si manifesta una speciale mitologia poetica, i luoghi protetti dove si mescolano ingredienti diversi e inusuali, per dare luogo a qualcosa di inaspettato, a volte di meraviglioso. Gli oggetti non sono nemmeno i correlativi di una nostra condizione esistenziale o i segnali di un sentimento comune universale, sono ancora se stessi, provocatoriamente e assurdamente se stessi, ma scivolati o appunto levitati verso un mondo altro, sorprendente e vago, o forse finalmente restituiti ad esso.  

C’è qualcosa di limitato nella nostra condizione di uomini, se ci sforziamo con tanta determinazione perché la realtà non ci confonda con la sua insensatezza, se cerchiamo in ogni modo di essere concilianti con la visione parziale e circoscritta di quanto ci accade intorno, se della vita evitiamo con cura le vertigini, gli spostamenti di senso, i deragliamenti, gli sbandamenti, così provvidi e normali dice la poesia di Amato, dall’una all’altra condizione naturale: “… ma questo tempo incomprensibile / per noi che non abbiamo le ali / e che stupidamente / non dormiamo sugli alberi…”.

Naturalmente tra gli uomini c’è chi si mostra inadatto a comprendere, e sono i più, coloro che vanno sicuri delle loro certezze, della stabile e ordinata composizione della realtà:  “Ho contemplato una balena / e mi pareva l’orsa / con un cesto di pesci e di comete // ho chiesto a un vecchio prete cosa fosse / quel carico di stelle // lui rimbambito / (si contava i bottoni della veste) / disse che non aveva visto niente”.

L’età dorata dove  è possibile che la confusione dei ruoli e dei mondi diventi sistema ed anzi si manifesti, come se fosse norma, nella sua ovvietà e nella pienezza della significazione, è naturalmente l’infanzia. E’ quello il periodo in cui possiamo crederci uccelli, fare prove di volo dimenando le braccia, correre e saltare fingendo di essere animali. Ed è l’età verso la quale la poesia di Le cucine celesti sempre fa ritorno, non per farne pascolianamente l’eden irricostruibile degli affetti, o anche lo strumento privilegiato della conoscenza: per Amato l’infanzia è la sola età in cui veramente si vive, in cui i mondi si rappresentano in  un disequilibrio che non può essere messo in discussione, in cui il tempo non è un susseguirsi ordinato e irreversibile, ma compresenza di passato e presente. “… e cammina cammina / io in qualche posto andavo / e seminavo da per tutto / i fazzoletti / i piccoli bottoni / dal fischio dei calzoni / corti // (ora / saremo certamente tutti morti / ecco perché si sogna / tutto il giorno) // ma qualche volta torno / seguo la scia dei moccichini”.

Se è vero che anche il tempo mescola le carte e il poeta vive in un presente in cui continuamente avanzano figure provenienti da altre età, allora la famiglia diventa inevitabilmente un organismo allargato. Nonne e nonni, zie e zii, cugini, genitori e figli si cercano, si incontrano e si parlano, non importa se siano vivi o morti, abitano stanze e cucine che non si sa se appartengono alle case di oggi o sono solo luoghi della memoria. Roberto Amato racconta la sua famiglia come un cantastorie le vicende di paladini, con intrecci complicati e scompigliati, improvvise interruzioni e salti nello spazio e nel tempo, interventi magici che intralciano i progetti o lasciano intravedere uno scioglimento. La poesia si anima di personaggi che sembrano appartenere appunto a vicende eroiche e leggendarie: il nonno  Efisio, Giardiniere di Boboli, la Zita, la lunghissima Ofelia, la Titina, la sorella Alina (“quella bambina sordomuta / che andavo coltivando insieme ai fiori delle zucche”, che ha gli occhi che volano “sopra le foglie nere / delle cicorie altissime”); e poi Lapo, l’Orca, la Clara, l’Alfira, Ezechiele, le Fate, ed Efisio il facchino che “non mi ricordo che abbia / proferito verbo, tranne quel suo cantare / da mezzosobrio / o alticcio / soltanto per lodare stoccafissi / o totani cuciti con un ripieno di frattaglie/ d’oche”.

Al disordine del mondo, al guazzabuglio ostinato dell’esistenza, la poesia di Amato non cerca di fornire un assetto più stabile e ordinato. Il compito del poeta è anzi quello di accettare lo stupore che la visione implica, di restituire al lettore il senso della meraviglia. Questo non significa che la poesia si conceda all’improvvisazione e alla spontaneità. Al contrario il verso è sempre misurato e controllato, e dimostra una lunga e ragionata consuetudine con i grandi autori del secolo scorso.

Non conosco personalmente Roberto Amato, ma so da uno scritto di Manlio Cancogni, tra i primi a leggere i suoi versi, che “pare uscito da un racconto nordico di maghi e stregonerie”. Io me lo figuro che “alto, magro allampanato” cammini spesso senza avere una meta precisa, anzi, se mai l’avesse, dimenticandola, ritrovandosi poi chissà dove, ma lontano, senz’altro lontano dal luogo dove sarebbe dovuto arrivare. Immagino che , se fosse a camminare per qualche sentiero di montagna, non andrebbe in cerca di funghi ma di fossili di conchiglie, delle tracce del passaggio di qualche pesce, sicuramente avvenuto in un’epoca remota, che lui crede ancora attuale; o alzerebbe gli occhi al cielo, avendo percepito il verso di un uccello marino in crisi di orientamento.  Su una spiaggia invece non sarebbe attratto da stelle marine e ossi di seppia, ma da rami levigati e contorti, residui di un luogo lontano, testimonianza di una dimenticata foresta.

]]>
http://trasciatti.it/2012/05/22/riletture-le-cucine-celesti-di-roberto-amato/feed/ 0
Roberto Deidier oggi a Pistoia http://trasciatti.it/2012/05/22/roberto-deidier-oggi-a-pistoia/ http://trasciatti.it/2012/05/22/roberto-deidier-oggi-a-pistoia/#comments Tue, 22 May 2012 08:29:31 +0000 Trasciatti http://trasciatti.it/?p=2134

Martedi 22 maggio alle ore 18, presso Lo Spazio di via dell’ospizio, incontro con il poeta e saggista Roberto Deidier, a partire dai libri Gabbie per nuvole (Empiria, 2011, pag. 104, euro 14,00) e Il lampo e la notte (Sellerio, 2012, pag. 336, euro 20,00). Parteciperanno alla serata Elio Pecora e Giuseppe Grattacaso.
 
A partire da un verso del sonetto A una passante di Baudelaire (“Un éclair… puis la nuit”), Roberto Deidier ne Il lampo e la notte. Per una poetica del moderno ripercorre alcune linee basilari della poesia moderna e contemporanea, secondo un’ottica ispirata dall’attuale critica letteraria di impianto comparatistico. Le opere poetiche e saggistiche di Pound, Eliot, Borges e in particolare di Auden e Brodskij costituiscono i riferimenti di un discorso nel quale nozioni e concetti, quali genere, canone, tradizione, ritmo, sono riconsiderati in base ad autori a torto trascurati: da Espronceda a Corbière, da Solmi a Wilcock. Un lucido ripensamento originale del rapporto tra classicità e avanguardia che inaugura una prospettiva nuova per leggere la poesia.
 
Gabbie per nuvole è invece un quaderno di traduzioni, che deve essere considerato quale una mappa di amicizie e spaesamenti, concepita come una piccola geografia degli autori importanti, che hanno accompagnato Deidier nella sua scrittura: da Keats a Artaud, da Apollinaire a Stevenson. Come “luci di passaggio, piccoli lampi, effetti del cielo e della stagione. E ogni tentativo di fermarli, di portarli nella nostra lingua, altro non è che la costruzione di una gabbia per nuvole”.
 
Roberto Deidier è nato a Roma nel 1965, poeta e saggista, insegna nell’Università di Palermo. Autore di numerosi studi sulla modernità letteraria, ha curato opere e carteggi di Penna, Saba, Montale, Manganelli. Tra i suoi volumi di critica letteraria: Le regioni della poesia (1996), Dall’alto, da lontano. Scritture dell’adolescenza, della fiaba e dello scorcio nel Novecento italiano (2000) e, con la  casa editrice Sellerio, Le forme del tempo. Miti, fiabe, immagini di Italo Calvino (2004). I suoi interventi su Penna sono riuniti nel volume Le parole nascoste (Sellerio 2008). Ha pubblicato le raccolte poetiche Una stagione continua (peQuod, 2002) e Il primo orizzonte (San Marco dei Giustiniani, 2002). Sue poesie sono apparse su numerose riviste italiane e straniere, come «Paragone», «Poesia», «Présages», «World Literature Today» e «Nouvelle revue française». È redattore della rivista «Poeti e poesia».

]]>
http://trasciatti.it/2012/05/22/roberto-deidier-oggi-a-pistoia/feed/ 0
Questo sito chiude http://trasciatti.it/2012/05/20/questo-sito-chiude/ http://trasciatti.it/2012/05/20/questo-sito-chiude/#comments Sun, 20 May 2012 06:30:34 +0000 Trasciatti http://trasciatti.it/?p=2126

Cari tutti,

trasciatti.it chiude, o quantomeno va in letargo, poi in futuro chissà. I motivi sono parecchi, come scrivevo il 5 maggio, ma a tagliare la testa al toro  sono arrivati quelli economici. Sono necessari degli interventi tecnici (in pratica una migrazione presso un altro fornitore di spazio web) relativamente costosa e poi anche il mantenimento del dominio trasciatti.it qualcosina costa.  I materiali, testi, foto e quant’altro non andranno persi, verranno salvati e messi in congelatore.

Chi fosse interessato a fare ordini di Libratti vecchi e nuovi e Stralunari può scrivermi qui: a.trasciatti@alice.it. In ogni caso, le prossime uscite dei Libratti nuova serie saranno disponibili sul sito di Marco Del Bucchia Editore.

Ringrazio tutti quelli che si sono divertiti a scrivere, mandarmi proposte e suggerimenti,  commentare o semplicemente  leggere, un bel gruppetto di utenti noti o anonimi  che mi ha accompagnato fin qui. Io mi rimetto a scrivere, cosa che in questi ultimi quattro anni ho un po’ trascurato. A presto, da qualche parte.

Alessandro Trasciatti

I vecchi Libratti: gli ultimi rimasti

I Libratti nuova serie

Stralunario

]]>
http://trasciatti.it/2012/05/20/questo-sito-chiude/feed/ 3
Un sito in declivio? http://trasciatti.it/2012/05/05/un-sito-in-declivio/ http://trasciatti.it/2012/05/05/un-sito-in-declivio/#comments Sat, 05 May 2012 09:14:49 +0000 Trasciatti http://trasciatti.it/?p=2099

Questo sito è giunto al capolinea? E’ a Caporetto? Che capita dunque? Aggiornato sempre più di rado, vede calare ovviamente le visite, i commenti languono, le mamme imbiancano. Il fatto è questo, anzi, di fatti ce n’è più d’uno… Innanzitutto devo dire, come Conducente, che ormai – per condividere le scemenze giornaliere – funziona infinitamente meglio facebus, non c’è confronto tra la rapidità/facilità con cui si “posta” qualcosa su facebrooks e la macchinosità richiesta per fare la stessa cosa anche da un sito agile come questo. Poi c’è anche il fatto che molte visite erano legate all’ambulatorio del dottor Vannini. Essendo egli praticamente scomparso – e forse davvero c’è da augurarsi che sia così – le visite all’ambulatorio online sono scemate. E poi va ammesso che sta venendo a mancare la spinta dell’entusiasmo librattesco. Il Conducente sperava che detto sito potesse essere (anche) veicolo promozionale dei Libratti vecchi e nuovi. Invece, deve egli prendere atto che non è mai stato così e  che un commercio librattesco on line non è mai veramente decollato. Quindi c’è nell’aria, come dire, un certo sbrindellamento che non so dove porterà. Per ora fermiamoci qui, con codesti discorsi, che è meglio.

Il Conducente del Dirigibile sig. Trasciatti

]]>
http://trasciatti.it/2012/05/05/un-sito-in-declivio/feed/ 18
Da Postpopuli.it http://trasciatti.it/2012/04/18/da-postpopuli-it/ http://trasciatti.it/2012/04/18/da-postpopuli-it/#comments Wed, 18 Apr 2012 21:49:27 +0000 Trasciatti http://trasciatti.it/?p=2080

In una recente intervista di Giovanni Agnoloni (Quale futuro? Il punto sulla fantascienza italiana), lo scrittore di fantascienza Dario Tonani, dice:

“Siamo letteralmente immersi nell’idea di futuro: cinema, tv, videogiochi, pubblicità… tutto anela a mostrarci il domani. Siamo impregnati di fantascienza, ma di una fantascienza che è quasi esclusivamente visuale. Una volta l’unico modo di vedere il domani era andare al cinema e sognare davanti a fondali di cartapesta e a missili di cartongesso; le pagine di un buon libro avevano ancora qualche chance in più di sedurre la nostra immaginazione. Oggi, con gli effetti speciali, non c’è virtualmente storia: il testo scritto è perdente su tutta la linea. O per lo meno parte svantaggiatissimo, specie sulle nuove generazioni di lettori/spettatori. E se non c’è ricambio generazionale… A chi importa più di un futuro raccontato? Declinato sequenzialmente parola per parola, pagina dopo pagina? Logica sequenziale del testo scritto contro logica complanare dell’immagine. Onestamente, c’è storia? Voglio ancora credere di sì, anche se la fantascienza scritta sta probabilmente vivendo il suo periodo più nero. Non si tratta di fare a gomitate col grande o il piccolo schermo, ma di riaffermare la propria prerogativa principale, quella per cui i libri di fantascienza hanno sempre mostrato di avere un appeal impareggiabile: le idee, la potenza di fuoco più devastante!

Rinunciamo alle idee e avremo solo stupidi spot traboccanti di effetti speciali, gusci vuoti. Rinunciamo alle idee e non avremo niente, neppure la fantascienza”.

Ho l’impressione che questo valga per la narrativa in generale: quale libro può competere con le capacità mimetiche del grande schermo? Quale romanzo può competere con le capacità evocative del cinema? Ormai si piange, se si piange, guardando un film più che leggendo un libro. Eppure quante volte si sente dire, di fronte ad un film tratto da un romanzo: “era meglio il libro”. E questo, forse, proprio perché nella trasposizione sono andate perse alcune cosette non proprio secondarie: le idee, appunto. Con le immagini e basta non ci si fa un granché.

Ale Atti

(In alto: Dario Tonani)

]]>
http://trasciatti.it/2012/04/18/da-postpopuli-it/feed/ 0
Morte (dolce) a Venezia http://trasciatti.it/2012/04/18/morte-dolce-a-venezia/ http://trasciatti.it/2012/04/18/morte-dolce-a-venezia/#comments Wed, 18 Apr 2012 07:17:09 +0000 Trasciatti http://trasciatti.it/?p=2074

Con questo, L’acqua alta (Elliot 2011), Roberto Amato è giunto al quarto libro, il quinto se si considera anche la plaquette Gli sposi (Diabasis 2005). Chi lo ha seguito in questo suo cammino forse si sarà un poco assuefatto alle sue invenzioni poetiche, magari proverà meno stupore di fronte agli amabili salti della sua logica e quasi gli sembrerà di conoscere già gli attori di questa nuova commedia buffa. Ma in quarta di copertina si legge che L’acqua alta è stato scritto “molti anni prima de Il disegnatore di alberi” (uscito nel 2009). Allora viene da chiedersi: molto prima quanto? E perché è uscito dopo? E lo stupore ricomincia per questa vena creativa costante, già matura ieri come ora, per questo poeta che può permettersi di buttare fuori un libro o un altro a scelta (a capriccio?). Qual è la linea di sviluppo della sua poesia? Sempre che ci sia una linea e non un lago magmatico da cui il poeta attinge con rara possibilità di sbagliare. 
In esergo è posta una lunga (e un po’ enigmatica) citazione dal filosofo Kierkegaard che argomenta sul Don Giovanni di Mozart e che termina così: “se si è infantili alla pari si gioca meglio”. E’ un invito al lettore ma anche un avvertimento. Un invito a disporsi al gioco: gioco poetico, gioco con le parole. Se non si è capaci di questa regressione è meglio lasciare perdere, questo libro non fa per noi (e forse la poesia in genere non fa per noi). Ma veniamo al dunque. Cosa c’è in questo libro? Dire che c’è un io che scrive a un tu non spiega molto, anche perché Amato ci ha abituato agli pseudo-epistolari. Non è una novità nemmeno che il destinatario sia una lei, probabilmente un’amante, vera o immaginaria che sia . C’è di nuovo che questo monologo – figurarsi se c’è traccia di risposta! Il tu di Amato è sempre uno specchio – ha luogo a Venezia e Venezia è Gerusalemme, le due città si sovrappongono. Perché Venezia è una città doppia, dal momento che si specchia nell’acqua della laguna, e anche Gerusalemme è una città doppia perché immagine della Città Celeste.
Ora, in questa che è la città romantica per antonomasia, città di lune di miele e innamoramenti, una coppia di sposi si aggira eternamente senza più trovare l’uscita. Manlio Cancogni, nella nota finale contenuta nel volume, scrive: “Ma provate a leggerlo (Amato, n.d.r), e poi ditemi se non vi è parso di essere investiti da un’onda d’aria fresca, frizzante, profumata, che muove e alleggerisce il passo (immagino sempre che lo si legga camminando, su un marciapiede di città, o lungo un canale, o su una spiaggia davanti al mare aperto ‘tutto fresco di colore’) pronti a spiccare il volo”. E certamente è vero, la leggerezza di Amato è innegabile e pervasiva. Ma se si scava appena sotto viene fuori altro, emerge un’inquietudine sommessa e disperata di fronte al nostro destino di uomini. La Venezia visibile ne nasconde un’altra, sotterranea, anzi subacquea, che si ramifica verso profondità indefinite, abissali, confinanti con i terreni vaghi dell’aldilà. Scrive Amato a pagina 21: “I piccioni di questo oscuro campiello sono del tutto neri / … forse sono piccioni mortuari”; e due pagine più il là si leggono versi che paiono uno struggente e definitivo congedo:
 
Non voglio che nessuno mi accompagni oltre il ponte
(dove l’ultima scala scende l’acqua
e i gondolieri si perdono)
 
non voglio che nessuno veda quello che vedo io
e che mi è destinato
forse per uno sbaglio degli uccelli
 
i piccioni mi guardano con una certa dolcezza
(che non ti aspetteresti da loro)
oltretutto non era me che aspettavano:
io non sono nemmeno di qui
qui non ho amici
conoscenti
e non sono mai entrato in un panificio
in una polleria o in questi piccoli negozi per turisti
eppure
gli uccelli
mi fanno cenno di seguirli
rallentano perfino il loro passo saltellante
 
perché io non mi perda[1]
 
I piccioni assurgono quasi al rango di animali mitici che accompagnano l’anima verso il luogo del riposo definitivo. Certo, restano piccioni, animali privi di quell’alone magico-poetico che attribuiamo agli animali del bosco, ma questo fa parte dell’opera buffa di Amato, del suo mischiare i piani dell’alto e del basso, dell’addolcire le ambasce cosmiche con qualche domestica dolcezza o ironia. Venezia, però, sembra rappresentare una specie di viaggio ultimo:
 
Evelina
noi non ci siamo più
questo è evidente
 
perfino i gondolieri non ci vedono
o ci scartano
come piccoli ostacoli
come cose senza valore[2]
 
Un viaggio tutto in profondità, verso inferi acquatici:
 
… e dunque?
 
… io non lo so
cosa dovremmo cercare
in tutta questa acqua…
 
… scendere
con la nostra zavorra
scandagliare i canali
che (secondo gli antichi
topografi subacquei)
sono di una profondità
infinita… [3]
 
E ancora:
 
io però batto i tacchi
valuto il vuoto sotto di me
dove ci sono secoli di scoli
di fognature che raggiungono il mare
per vie traverse[4]
 
E pochi versi dopo:
 
… ma qui
(secondo i dépliant)
un metro sotto la stazione
ci sono le catacombe…
 
la morte è del tutto subacquea
un proscioglimento[5]
 
Questo movimento verso il basso, questa attrazione ipogea, è confermata anche dal geometra Nicodemo, figura che appare più o meno a metà libro e che sembra avere una funzione di raccordo/spostamento fra il subacqueo e il sotterraneo, fra l’acquatico e il terreno, ma anche verso il domestico perché qui comincia una discesa che è anche regressione temporale verso l’infanzia:
 
le fondamenta
scendono credo per moltissimi chilometri
secondo Nicodemo
finiscono
dall’altra parte della terra
e
nelle giornate chiare se non c’è troppo vento
raggiungono la luna[6]
 
E poi:
 
Se tutto affonda è come se la casa salisse
questo è un concetto semplicissimo
(e un poco tolemaico)
 

 
certo siamo sotto il livello del mare
(e di molto)
 
e un volo di murene lo conferma[7]
 
A questo punto può aprirsi la sezione intitolata “Nella profondità della casa” dove continua lo scavo e la discesa del protagonista (chiamiamolo così) di questo libro e dove il lettore ritroverà molto della vena visionaria dei precedenti lavori di Amato, quella mitologia domestica che abbagliava già ai tempi delle Cucine celesti.
Gli scavi, dicevamo:
 
Secondo me
siamo in un abisso
archeologico
 
la casa è sprofondata
per molte miglia marine[8]
 
E dopo:
 
Io continuo a scavare sotto la casa
anche senza l’aiuto del mio domestico Tanino[9]
 
E ancora:
 
Scavo tranquillamente
la terra è morbida e ha un profumo dolcissimo
di nuvole[10]
 
E infine:
 
Questa voragine
(pensavo) è proprio
della misura giusta:
fa scivolare la casa lentamente
(e non si sa
dove potrebbe fermarsi)[11]
 
Al piano di sotto della casa c’è – curiosa invenzione – un monastero da dove provengono ticchettii di bastoni e strofinii di pantofole. Un monastero che somiglia molto ad una casa di riposo. E infatti, al piano di sotto della casa paterna
 
c’erano grandi camere
e dietro i paraventi
si sentiva il russare senza fine
dei bisavoli e dei trisavoli
dei parenti più antichi
e più complessi
(dormivano per sempre
anche gli zii dei nonni
le nuore dei bisnonni
le cognate e i cognati
dei trisavoli)[12]
 
Nelle ultime pagine del libro, intitolate “Il piccione di Händel”, Gerusalemme torna a sovrapporsi a Venezia, suggerendo una prospettiva escatologica; compare Minosse il vinaio,  la cui cantina è un antro che fa pensare al mitico labirinto; compare soprattutto Mozart, che trascorse giovanissimo alcuni mesi nella città lagunare e che, dopo avere aperto il libro nelle parole di Kierkegaard, viene a richiuderlo quasi con l’aspetto del Convitato di pietra, bianco come il sale, pallido come un morto, a suggerire ancora una volta, e definitivamente, che oltre Venezia-Gerusalemme non si va, che quello che ci è stato raccontato è il viaggio conclusivo. Ma Amato ce lo ha raccontato con tutta la leggerezza possibile, con tutta la dolcezza che è racchiusa nella speranza ingenua e insopprimibile di ricongiungersi agli affetti dell’infanzia, di ritrovare, un domani, le nostre origini.

Alessandro Trasciatti

Note
 
[1] Roberto Amato, L’acqua alta, Elliot, Roma, 2011, pag. 23.
[2] Ibid. pag. 26
[3] Ibid. pag. 27
[4] Ibid. pag. 35
[5] Ibid. pag. 36
[6] Ibid. pag. 44
[7] Ibid. pag. 50
[8] Ibid. pag. 57
[9] Ibid. pag. 61
[10] Ibid. pag. 62
[11] Ibid. pag. 82
[12] Ibid. pag. 68

]]>
http://trasciatti.it/2012/04/18/morte-dolce-a-venezia/feed/ 1
L’impalcatura che non c’è http://trasciatti.it/2012/04/07/limpalcatura-che-non-ce/ http://trasciatti.it/2012/04/07/limpalcatura-che-non-ce/#comments Sat, 07 Apr 2012 17:03:41 +0000 Trasciatti http://trasciatti.it/?p=2068

Brevi dal Nord di Gianfranco Mammi è un libro che mi fa venire voglia di farne uno uguale. Non tanto nei contenuti, ognuno ha la sua vena, le sue fantasie, la sua testa che ragiona più o meno bene. Quanto nella struttura, nell’impalcatura che lo tiene insieme. E questa struttura o impalcatura di Mammi, per dirla con precisione, non esiste. Il libro è come un sacco dove è stato tirato dentro di tutto: brevi raccontini, aforismi, dialoghi, fulminei atti unici, elenchi di cose, frammenti e frattaglie varie. Se c’è un filo che tiene insieme tutta questa roba, è al massimo la vena di assurdità che circola dall’inizio alla fine: assurdità del singolo pezzo e assurdità complessiva, che viene fuori dall’accostamento arbitrario dei pezzi, sfidando ogni visione d’insieme. Sicuramente c’è stato un montaggio dei materiali, un ordinamento. Ma è una questione che riguarda l’autore che – possiamo ipotizzare – sia stato lì a studiare se il brano dal titolo “Zebrate” potesse stare meglio prima o dopo quello intitolato “Libri che non ho comperato per il titolo”. Quello che conta per il lettore è il risultato finale, l’effetto di accozzaglia casuale, il deliberato e micidiale dipaloinfraschismo che si trova sotto gli occhi. Senza andare a scomodare miscellanee monumentali e illustri, come lo Zibaldone di Leopardi o gli Essais di Montaigne, che erano tutt’altra cosa,  dei precedenti ci sono certamente in qualche autore novecentesco, ma non ricordo quale (Michaux? Leiris? Campanile?). E allora, tanto per fare un esempio, riporto due brani consecutivi.

L’uomo senza testa

Aspetta, ti faccio a fette il cane!
Quale cane?
Il tuo.
Ma non ce l’ho mica, io, il cane.
Allora ti faccio a fette la mano.
Quale mano?
La sinistra.
No, che sono mancino.
Allora la destra.
Va bene. Prima però ti stacco la testa.
Quale testa?
La tua.
Ma non ce l’ho mica, io, la testa.
Ostia, è vero.
 

Miliardi

Gli alieni sono tra noi a miliardi e si nascondono nei vasetti di yogurt, quello commerciale. Tutti quei fermenti vivi della pubblicità te lo dico io che cosa sono, sono piccolissimi extraterrestri molto più furbi di noi e nel loro piccolo ci governano dai nostri organi interni.

Prova te ad ammazzarne uno, non ci si riesce.

Leggetelo, Brevi dal Nord di Mammi (QuiEdit 2011, prefazione di Gisela Scerman), anche se non è facile trovarlo. Magari provate qui. Oppure leggete questa intervista all’autore su su Zibaldoni.it

Alessandro Trasciatti

]]>
http://trasciatti.it/2012/04/07/limpalcatura-che-non-ce/feed/ 4