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Torquato Gazzilloro e il rifiuto del cibo
Dom, 06/20/2010 - 20:58 | Aggiungi un commento
Il difficile rapporto del poeta Torquato Gazzilloro con il cibo. Testimonianza della madre Andreina, tratta da Affetto di madre (pagg. 1412 e successive). Il brano è citato da Renzo Butazzi nel suo studio su questo controverso poeta e sulla altrettanto controversa sorella Titina, anch'essa poetessa. Scrive la madre:
"Un giorno che Torquato era più del solito restio ad aprire la bocca per inghiottire il cibo - tutto occupato a infilare gli anelli di pastina con uno stecchino da denti - decisi di provare a convincerlo con l'evidenza della realtà.
Domani andiamo a trovare lo zio Egisto - gli dissi - E' tanto che non viene da noi perché‚ non ha più la forza di muoversi. E' magro magro, non ha voce e presto morirà. E sai perché‚ tesoro? Perché non vuole mangiare, proprio come te. E chi non mangia muore.
Quando andammo a visitarlo, lo zio Egisto era a letto, con il volto giallastro, le guance scavate, la barba lunga. Guardò me e Quatino (era questo il vezzeggiativo di Torquato usato dalla madre. N. d. R.) gli occhi sbarrati ma non disse niente. Zia Ermellina stava cercando di fargli sorbire qualche cucchiaiata di brodo, ma lo zio teneva la bocca chiusa e spostava la testa, così che il brodo colava sul tovagliolo. Era proprio la situazione che avevo sperato di trovare per convincere Torquato.
Gli spiegai che lo zio Egisto stava tanto male e sarebbe morto presto perché era così cattivo da non voler mangiare niente, neppure il buon brodino preparato dalla zia.
Dopo tre giorni, infatti, lo zio morì di una malattia che lo consumava da almeno un anno, ma questo mio figlio non lo sapeva. Per dimostrargli che la sua mamma aveva avuto ragione, lo portai a vedere il povero Egisto prima che la cassa venisse chiusa. L'intenzione, come lo sono sempre quelle delle madri, era buona, dettata solo dall'amore materno ma, almeno per quel giorno, non potrei dire che la vista del defunto abbia fatto venire appetito al mio bambino. Anzi, Quatino vomitò la merenda, fu più taciturno del solito e la sera non volle cenare.
Tuttavia, il giorno dopo mangiò più volentieri e pensai che il mio metodo avesse avuto successo. Così che quando Torquato ricadeva in una crisi di disappetenza, lo portavo a trovare qualche parente o amico - nonchè parenti e amici di amici quando non era disponibile nessun esempio più diretto - la cui vista poteva convalidare il mio insegnamento.
Si trattava sempre d'infermi gravissimi e di vecchi mal ridotti che mostravano chiaramente di reggere l'anima coi denti, almeno quando ne avevano ancora qualcuno. Ci recavamo in visita all'ora di pranzo, in modo che Torquato potesse rendersi conto di persona che il cugino Giuseppe o l'amica di zia Marta non mangiavano niente o quasi. Così che, poco tempo dopo, potevo sempre dimostrargli che i disappetenti, come gli avevo detto, stanno male e poi muoiono.
Poiché‚ quest'opera di convincimento non dava grandi risultati, decisi di seguire il consiglio del nostro pediatra, Ulderico Amal, che suggeriva di dargli tutto il necessario alla nutrizione in un unico piatto. Di solito facevo preparare a Virginia una minestrina in brodo arricchita da patate, carote e carne, tutto ben tritato, che poi cercavo di fargli mangiare imboccandolo amorosamente. Purtroppo non ero sempre in grado di dedicare a Torquato tutto il tempo necessario per convincerlo a mangiare e talvolta affidavo quest'incarico alla giovane Virginia, volenterosa ma poco paziente: un giorno gli dette la minestrina troppo calda e lui si scottò tutta la bocca. Piangeva tanto che chiamai subito il dottore".
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