La funzione del "pota"

Ven, 08/08/2008 - 01:11

La funzione del "pota"

 
di Andrea Cirolla
Il pota, sorprendente termine del dialetto bergamasco, veicola con una semplice emissione di suono un significato profondo e un'altrimenti inesplicabile condizione esistenziale. Traducibile malamente in italiano con il composto "d'altronde", il pota vanta una grande forza gestuale e interpretativa. Esso ci permette di comunicare la nostra imperizia di fronte a una determinata situazione, manifesta un momento di impasse ineludibile. È il momento in cui esprimiamo quella che gli antichi chiamavano epoché, la sospensione del giudizio rispetto a ciò che non è comprensibile - secondo la scuola stoica - o di fronte a rappresentazioni e opinioni opposte - secondo quella scettica. Diciamo pota e fermiamo il nostro sguardo sul corso degli eventi. Non è solo il pota, nel dialetto bergamasco, a vantare un'agile comunicabilità concettuale in un'estrema concisione verbale, basti pensare a espressioni come a fussura [come se non bastasse], dam a trà [cerca di ascoltarmi attentamente], o abelàse [vai pianino!].
Di questi tempi, tempi che sono duri e difficili a viversi, l'uso del pota dilaga. Funge da sintesi dello sconforto sociale. Sempre più giovani ricadono nell'uso del dialetto, antico vestigio dei loro antenati, per esplicare le proprie disillusione e sfiducia.
Ad esempio un giovane, che chiameremo genericamente K, attorniato da altri tre amici, che chiameremo altrettanto genericamente X, Y e Z, racconta loro quest'episodio:
"Ieri sera, in un piccolo bar della provincia bergamasca: due leghisti uomini e una leghista donna. Lei è la prima che ascolto: "eeeh seee me ó vutat lega, perché al se ne pó piö!". Uno dei due uomini leghisti, quello grassoccio e dalla faccia più stupida, non ricordo il contesto, ma a un certo punto parte a mille sui gay: "seee, come quei frocî di merda!". Io, che stavo mangiando il mio trancio di pizza, scoppio in un risolino che a momenti me lo fa sputare. I leghisti si fermano un attimo, la donna leghista cerca di smussare l'espressione del compagno, il terzo, ubriaco, beve d'un sorso l'ennesima birra e sta zitto imbambolato. Il ciccione passa a parlare di Vladimir Luxuria, ripete circa 5/6 volte che dovrebbe stare su canale5 con Maurizio Costanzo e sua moglie, che non è un politico ché non è capace. E dire che a me, invece, è sempre sembrato, dalla prima dichiarazione pubblicata, che Vladimir Luxuria fosse uno dei nostri migliori politici. Vabbe'. Non c'è più nemmeno la forza o la lungimiranza per intervenire pubblicamente, esprimere la propria contrarietà a questa rozza attitudine, esercitare il proprio dovere civile, controbattere a questi bifolchi. Loro non saprebbero reggere un dialogo, ed è molto facile che si finirebbe alle mani, se non peggio. È il nuovo fascismo, becero subdolo ignorante aleggiante generalista strisciante che colpisce le masse rese incolte dal berlusconismo. Dopotutto uno dei fenomeni del fascismo storico fu l'arroccamento culturale, il fare quadrato sui proprî giovani, limitarne le prospettive di formazione, arginarne l'erudizione. Mi pare che questo fenomeno sia sopravissuto nella forma di un meccanismo ancora più potente, coadiuvato dalle tivvù private decerebranti; il risultato di oggi è la causa scatenante di allora, la massificazione. Questo, un fascismo lieve ma penetrante, ignorante e approssimativo, senza argomenti ma solo rabbie più o meno represse."
Dopo l'ascolto del resoconto i tre innocenti amici dicono in coro, senza accordo o preavviso: pota... A questo punto K fa cenno di sì con la testa, ma chinandola sempre più sul petto. I quattro amici concordano nello sconforto. Dicono pota e con questo manifestano proprio quella sospensione del giudizio di fronte a ciò che non possono capire. Nient'altro che una presa di coscienza di questi tempi. Le cose vanno così, e la reazione più semplice, ma anche la più spontanea è quella di rispondere a tutto questo con un pota. Questa magica parolina che comunica sì tutto lo sconforto nel nostro cuore, ma pure nasconde in sé un non so che di goliardico, tipico della nostra popolazione. Qualcosa come: "lo so, sembra che tutto vada a catafascio, ma arriveranno tempi migliori. Nel frattempo soffriamo insieme, sì, insomma, compatiamo".
(In alto: L'omobestia, disegno a biro del Trasciatti durante un pomeriggio postale)

  1. Kabala on Mar, 09/23/2008 - 11:41

    Mi vergogno con me stesso per non averlo letto prima.

    Concordo su tutto, fuorché sul dialetto bergamasco. Io come forse sapete sono un sostenitore dell'italiano stuprato (che non si chiama dialetto ma vernacolo).

    Da noi si dice dé. Ma lo spettro semantico è assai più ampio.

    Purtroppo, però, nonostante  la spurità della lingua pura (non dialettale), anche noi abbiamo i fascisti anonimi, quelli noti, i leghisti cerebroavariati e perfino un ministro delle infrastrutture.

    Da vergognarsi.

    Sir Libeccio cavaliere dell'antifascismo di Capocavallo