Dec
28
Il maremoto del 28 dicembre 1908
Dom, 12/28/2008 - 10:14
Cento anni fa il terremoto di Messina. Pubblico questa testimonianza anche per ricordare mio zio Cesare Tomei, che a sua volta cita le parole di suo nonno Cesarone. Il brano è tratto da un volume che raccoglie gli atti di un premio dedicato alla gente di mare (vedi nota).
«Qui voglio riportare un aneddoto che mio nonno, "Cesarone", mi raccontò quando ero bambino. Si tratta di un'avventura, di un qualche cosa che rasenta la realtà romanzesca.
Ma cominciamo il racconto.
Nella giornata del 28 dicembre 1908 due velieri viareggini entrarono nello Stretto di Messina venendo da Sud. Uno era il Michele, comandato da mio nonno Cesare Tomei, Padrone Marittimo, dell'altra imbarcazione purtroppo non ricordo il nome.
Siccome i due comandanti si conoscevano, segnalarono la loro intenzione di entrare nel porto di Reggia Calabria, passare la notte, fare provviste, mandare notizie a casa, spedire le lettere all'armatore, e riprendere la navigazione.
E così fecero: questi due velieri entrarono in porto, e si ormeggiarono. Il veliero dell’amico del nonno ormeggiò a banchina, il nonno con il Michele ormeggiò accanto.
Durante la notte improvvisamente si scatenò il terremoto, quel famoso terremoto di Reggio Calabria e Messina che causò oltre 100.000 morti. Siccome si trattò oltre che di terremoto anche di maremoto, voi potete immaginare lo sgomento delle ciurme di queste due barche che furono obbligate a riunirsi insieme presso quella ormeggiata più saldamente, in attesa di un miglioramento della situazione.
Una specie di caligine spessissima aveva avvolto ogni cosa, non si vedeva una mano davanti agli occhi, mi diceva il mio nonno. Si fece la conta dei marinai, non mancava nessuno, però ad un certo punto, con grande sconcerto, si accorsero che il Michele era sparito. Si era letteralmente dissolto nel nulla.
Passò la notte, ma c'era molto da fare. I morti da seppellire, i feriti da curare, le persone da aiutare.
Voi sapete come il marinaio viareggino davanti a queste sciagure lasci tutto e si butti, senza domandare dove, quando e perché, parte e basta.
L’ opera di assistenza durò parecchi giorni, e spesso mio nonno si domandava dove potesse essere finito il Michele, però diceva “ora c’è da salvare la gente”:
La flotta russa, che era nella zona, montò accampamenti per i superstiti, organizzò ospedali, allestì cucine. Anche la Marina Militare italiana fece la sua parte, ma c'era da fare molto anche a Messina, che era stata ugualmente colpita dalla calamità.
Il Re, la Regina, la corte intera si mossero per far sentire la loro presenza al popolo così duramente provato da tale disastro. Mio nonno mi ha raccontato che dalle montagne scesero degli "sciacalli", personaggi che non mancano mai in queste occasioni, ma trattandosi di calamità nazionale venne istaurata la legge marziale, per cui i carabinieri erano autorizzati a sparare sul posto a chiunque fosse stato trovato a rubare o rapinare. Furono trovate persone con addosso orecchini staccati con il coltello dai lobi delle orecchie, dita tagliate, oggetti preziosi, oro, argenti. Tutti furono passati per le armi immediatamente senza processo. Questa era la legge.
Passati i primi giorni di disorientamento, di lavoro, di aiuto alle persone, seppelliti i morti (Reggio Calabria era divenuta un unico cimitero), mio nonno lasciò ad altri il compito che si era assunto, e cominciò a cercare la sua barca. Con un gozzo ed un rampino “arò” il fondo del porto, poi l’imboccatura, ma dell’imbarcazione nessuna traccia. Venne a sapere però che un veliero era stato buttato dalla forza del mare in mezzo ad un aranceto, non lontano dal porto, perché era successo che si era svuotato il bacino del porto, per il maremoto, poi si era riempito e questa onda di “tsunami” aveva strappato gli ormeggi, aveva fatto saltare la muraglia della banchina e l’aveva buttata laggiù. Mio nonno riconobbe la sua barca, che aveva avuto dei danni, ma non eccessivi. Fu necessario apportare piccole riparazioni, poi la barca venne rinvasata e successivamente varata. Un rimorchiatore delle assicurazioni portò il Michele a Genova per altre riparazioni, e poi potè riprendere il mare.
Questo è l’incredibile racconto che mi fece mio nonno, di cui ho potuto riscontrare la fedeltà grazie alle carte che mi sono state gentilmente procurate da mio cugino Giuseppe Tomei, anche lui Capitano di Lungo Corso.
Voglio ancora aggiungere una cosa. Parlando di questo episodio con Zeffiro Rossi [ndr. comandante della Marina Mercantile, noto scrittore di numerosi libri di cultura marinara e fautore del Museo del Mare di Viareggio], è emersa una cosa assai sorprendente: Zeffiro conosceva questo avvenimento poiché suo nonno gli aveva raccontato una storia molto simile. Ebbene, dopo alcune ricerche sul libretto di navigazione di Salvatore Ghiselli, nonno materno di Zeffiro, risulta imbarcato come marinaio dal 3 agosto 1907 al 24 marzo 1910 sulla brigoletta Michele, ruolo 2809 serie 4, al comando del Padrone Marittimo Cesare Tomei. E’ proprio vero che talvolta la realtà supera la fantasia.»
Comandante Cesare Tomei
(Il brano è tratto da: "Avvenimenti di bordo", Viareggio, Mauro Baroni Editore, 2005)
In alto: "Gente di mare" di Giorgio Michetti, 2005, olio su tela, cm. 100x140