Viaggio intorno al proprio orto

Mer, 05/14/2008 - 18:51

Viaggio intorno al proprio orto

 

Cos'è l'ultimo libro di Andrea Bocconi (Di buon passo, Guanda, 2007)? Un libro di viaggio, certamente, ma di un viaggio singolare, sia perché si tratta di un viaggio in solitaria, sia perché singolare ormai è viaggiare a piedi. Proprio questa è stata la piccola grande sfida di Bocconi: partire da casa sua, vicino ad Arezzo e camminare per un mese lungo un itinerario circolare che lo avrebbe riportato a casa dopo aver toccato le sorgenti dell'Arno e del Tevere, i luoghi di Francesco d'Assisi e il Trasimeno. Ma in realtà non si è trattata di una sfida, non c'era nessun record da battere, nessuna urgenza. Il viaggio di Andrea è stato qualcosa di più vicino al pellegrinaggio che alla performance. Un pellegrinaggio laico, una perlustrazione del già noto con mezzi ed occhi nuovi. Non si pensi che sia banale. Il nostro territorio non è più fatto per camminare a piedi. I sentieri di campagna e di bosco spesso non sono tenuti, si perdono, si infrattano, spariscono con il franare di un ciglio. Spesso Bocconi è stato costretto a fare lunghi tratti di strada asfaltata, solo in apparenza più agevole, in realtà infida per un camminatore che voglia attraversarla e comunque dispersiva quando si sostituisce alle ormai inesistenti scorciatoie per i campi. Il mondo ha cambiato inesorabilmente passo.

La prima tappa di questo cammino è Capolona, paesino dove Bocconi si recava in gioventù per incontrare Roberto Assagioli, pioniere della psicoanalisi in Italia, stimato fa Freud e amico di Jung, e poi fondatore di quel particolare indirizzo di ricerca e di terapia che prende il nome di psicosintesi. Andare a Capolona vuol dire per Bocconi rendere omaggio al maestro, alla guida che gli ha cambiato  la vita. E in questa visita torna in veste moderna il topos romantico del "pellegrinaggio sentimentale", la visita cioè al luogo delle origini con modalità, emozioni e linguaggio che ricordano in tutto e per tutto il pellegrinaggio in Terra Santa. Leggiamo I dolori del giovane Werther di Goethe:

Mi avvicinavo alla città; tutte le vecchie, note casette con giardino furono da me salutate, le nuove mi erano antipatiche, così come tutti gli altri mutamenti che erano stati effettuati. Entrai dalla porta e subito riconobbi di nuovo tutto...non voglio entrare nei particolari; quanto era toccante per me, tanto monotono diverrebbe il racconto. Avevo deciso di abitare presso il mercato, proprio accanto alla nostra vecchia casa. Nell'andare, osservai che l'aula dove una rispettabile vecchia teneva stipata la nostra fanciullezza era trasformata in una merceria. Mi ricordo l'inquietudine, le lacrime, il torpore di pensiero, l'angoscia di cuore che ho patiti in quel buco. Non facevo un passo che non fosse memorabile. Un pellegrino in Terra Santa non incontra tanti luoghi di religiosi ricordi, e la sua anima è difficilmente tanto piena di santa commozione.

Oppure leggiamo le Memorie d'oltretomba di Chateaubriand:

Coprendomi un momento gli occhi col fazzoletto, entrai sotto il tetto dei miei avi. Percorsi gli appartamenti sonori dove non si udiva che il suono dei miei passi. Le camere erano appena rischiarate dalla debole luce che penetrava fra le imposte chiuse: visitai quella dove mia madre aveva perduto la vita mettendomi al mondo, quella dove si ritirava mio padre, quella dove avevo dormito nella mia culla, quella infine dove l'amicizia aveva ricevuto i miei primi voti in seno a una sorella. Tutte le sale erano prive di tende, e il ragno filava la sua tela nelle alcove abbandonate. Uscii precipitosamente dal luogo, me ne allontanai a grandi passi, senza osar voltare la testa.

Certo il linguaggio di Bocconi è più lieve, nelle sue parole c'è meno dolore, meno pathos, manca la desolazione degli oggetti abbandonati, ma resta comunque un'eco nostalgica che lo lega ai modelli antichi:

Visitiamo assieme la casa dove abbiamo passato quelle estati fondamentali, cercando di far quadrare i ricordi con le ristrutturazioni: è in genere un'impresa difficile. L'esterno è lo stesso, ma dentro sembra tutto diverso.

E allora è meglio rileggere la frase di Assagioli sulla targa, con la sua bella firma di uomo nato nell'Ottocento: "Vi è nella psiche umana una tendenza fondamentale all'unione, alla sintesi che è espressione di un principio universale". Nostalgia e rammarico: il ricordo di quella visione ampia non somiglia abbastanza alle ristrutturazioni avvenute negli anni alla nostra anima.  

Il racconto di viaggio di Bocconi diventa così una continua riflessione esistenziale perché i paesaggi visti, i luoghi attraversati, gli incontri con persone gentili o antipatiche, tutto insomma è occasione di considerazioni sul "viaggio della vita", per usare un'espressione abusata che qui riacquista senso. Si ha l'impressione di camminare in un territorio dove l'occhio dell'anima riconosce di continuo simboli, dove tutto rimanda a qualcos'altro. Il mondo è davvero quella "foresta di simboli" che descriveva in versi Baudelaire. E Bocconi si aiuta con le carte per decifrarne i significati: all'inizio di ogni capitolo-tappa del suo libro-viaggio pone un arcano dei Tarocchi, di cui ha studiato per anni il simbolismo. Anche il profano si accorge che in quelle figure antiche si concentrano storie, miti, sogni, paure e desideri che non hanno niente di casuale e che raccontano per immagini la storia dell'uomo, il suo stare nel mondo, la sua intrinseca caducità terrena e la sua inestirpabile aspirazione al cielo. E così il libro del narratore laico Bocconi si fa, di giornata in giornata, più vicino al sacro per diventare, in ultimo, un vero e proprio omaggio a San Francesco, "il più simpatico dei santi", a cui sono dedicate molte pagine, anche perché il cuore del viaggio batte proprio nei suoi luoghi: Camaldoli, La Verna, il Cerbaiolo. Chi voglia usare Di buon passo come una guida turistica può farlo perché abbondano i nomi di località, eremi, conventi, ostelli, rifugi, persone che li gestiscono. Ma non si limiti a questo, perché ogni tappa è uno spunto di riflessione, un pretesto che serve all'autore per ripercorrere la propria vita ed è utile al lettore perché ogni pagina ha una grande capacità di suscitare echi, rimandi, allusioni, letture. E' un libro, come abbiamo in parte già mostrato, che rimanda di continuo ad altri libri, li chiama in causa direttamente o velatamente. A ogni lettore il piacere di stare a questo gioco.

Due sentimenti sono prevalenti in queste pagine, due attitudini: la gratitudine e l'ironia. Gratitudine verso il mondo, verso la vita, verso l'esistente. Bocconi non teme di attingere al buono del mondo, evoca la cordialità di certe persone, tratteggia la semplicità di altre. Ma senza buonismi. L'esperienza insegna che c'è qualcosa di buono sulla Terra e negli altri, se si ha la capacità e la volontà di coglierlo, in un tempo in cui intelligenza è diventato sinonimo di scetticismo, disincanto, sarcasmo. Anche Bocconi, dicevamo, non rinuncia all'ironia ma essa si esercita soprattuto suoi luoghi comuni del vivere civile, sul conformismo di chi si meraviglia che qualcuno scelga di fare un viaggio a piedi e diventi automaticamente un intruso, una manifestazione concreta di una alterità incomprensibile e quindi minacciosa, una personificazione dell'estraneo. Caricature grottesche di questo atteggiamento sono i cani da guardia, ottusi gregari dei proprietari, loro cieche proiezioni capaci solo di distinguere il mio e il tuo, non le intenzioni benevole o ostili del viandante. Per il cane esiste solo un territorio da difendere e così spesso per il padrone del cane. I cani, addestrati alla guardia della proprietà, non sanno scegliere, mentre - scrive Bocconi - "si impara molto su se stessi, osservando i processi di scelta. Per lo più posso sottoscrivere quello che scrisse Katherine Mansfield nel suo Diario: 'Fedele a se stesso, ma a quale dei tanti se stesso? A quale dei tanti se stesso che a ben guardare possono anche essere centinaia? Perché con tutti questi complessi e repressioni e vibrazioni e riflessioni, vi sono momenti in cui ho l'impressione di essere semplicemente il piccolo impiegato di un albergo senza proprietario, affaccendatissimo a registrare i nomi dei risoluti clienti e a consegnare loro le chiavi delle stanze".

Andare di libro in libro, seguire l'eco delle parole, dicevamo...Quest'idea di un io molteplice che ci abita e a cui non riusciamo quasi a tenere dietro ci riporta agli ottocenteschi médecins-philosophes che Assagioli, maestro di Bocconi, conosceva di certo. La loro idea di personalità è bene riassunta da Tabucchi in una pagina di Sostiene Pereira. La citiamo per intero, come omaggio di chiusura a un libro - Di buon passo - che ci ha fatto camminare molto con la mente e girovagare da una parte all'altra della nostra piccola biblioteca domestica:

Voglio farle una domanda, disse il dottor Cardoso, lei conosce i médecins-philosophes? No, ammise Pereira, non li conosco, chi sono? I principali sono Théodule Ribot e Pierre Janet, disse il dottor Cardoso, è sui loro testi che ho studiato a Parigi, sono medici e psicologi, ma anche filosofi, sostengono una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere "uno" che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazioe di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone. Il dottor Cardoso fece una piccola pausa e poi continuò: quella che viene chiamata la norma, o il nostro essere, o la normalità, è solo il risultato, non una premessa, e dipende dal controllo di un io egemone che si è imposto nella confederazione delle nostre anime; nel caso che sorga un altro io, più forte e più potente, codesto io spodesta l'io egemone e ne prende il posto, passando a dirigere la coorte delle anime, meglio la confederazione, e la preminenza si mantiene fino a quando non viene spodestato a sua volta da un altro io egemone, per un attacco diretto o per una paziente erosione. Forse, concluse il dottor Cardoso, dopo una paziente erosione c'è un io egemone che sta prendendo la testa della confederazione delle sue anime, dottor Pereira, e lei non può farci nulla, può solo eventualmente assecondarlo. (A. Tabucchi, Sostiene Pereira, Feltrinelli, 1994, pp. 122-23).

 

Alessandro Trasciatti

 

 

  1. stefano (non verificato) on Ven, 05/16/2008 - 16:25

    Mi ha ricordato Dino Campana(il grande)e suoi lunghi viaggi a piedi.
    Ciao.