Marisa Cecchetti: una recensione de "La via dell'Orco"

E’ forte il bisogno di ritrovare le proprie radici nell’orco buono che lascia il suo lavoro impiegatizio in una città di mare, per tornare nella città dei suoi, in incognito, a fare ricerche sugli avi, nella speranza di trovare tra gli antenati il re mangione, Adolfo Federico di Svezia, che dia una giustificazione alla sua fame ed alla pancia enorme e gorgogliante che gli è cresciuta.
Chiusa la sua esperienza di convivenza con la fidanzata, ha un gran desiderio di trovare una donna innamorata ad attenderlo sulla porta di casa. Ha persino sognato una mano femminile che offre un cuore ad una mano guantata di ferro.
Oscilla tra realtà e sogno il romanzo di Alessandro Trasciatti, La via dell’orco. Già nella prima parte relativa alla ricerca in archivio, da cui emergono le figure più strane ed originali di avi, cambia la visione della realtà, preannunciata quasi da un crescendo di follia, che poi si manifesta nell’ esagerato interesse musicale del direttore d’archivio. Una nuova percezione spazio temporale ci introduce nella dimensione onirica.
La musica è uno degli elementi preponderanti della storia, fa da filo conduttore, divenuta quasi personaggio. Entra in scena con la scoperta del nonno mandolinista vissuto ai primi del novecento e si ritrova negli interessi di altri avi. Il viaggio è un altro tema costante, con tutte le sue valenze di scoperta, di crescita, di prova di vita. Viaggio in treni vuoti, in auto, in bicicletta, o lunghe peregrinazioni a piedi nei vicoli di una città che è stranamente misteriosa, mutevole ed irriconoscibile. La solitudine, che dovrebbe essere un elemento prevalente nella condizione di vita del nostro protagonista, non si sente con tutto il suo peso, perché lui porta con sé una valigia in cui, a strati, c’è tutto ciò che serve per la sua sopravvivenza, e non solo culturale: come da una cornucopia ne escono viveri in grande quantità, e all’occorrenza potrebbe aprirsi e diventare culla.
La donna cercata si materializza sul treno vuoto, e la percepisce come il suo rovescio, il suo completamento, quella giusta, l’assoluto del sogno. Ma è una donna che scompare e si fa inseguire, moderna Angelica, tuttavia questa donna è ammiccante e vuole essere raggiunta.
Importante e significativo è il sonno, dopo i pasti abbondanti, quando lui diventa come una macchina da guerra che si libera di venti corporali e scrolla tutto con il suo russare, come se fosse il terremoto. E’ un sonno durante il quale vede attraverso i muri tutto quello che accade, nella ritrovata dimensione del sogno. Come succede ad Alice nel paese delle meraviglie, ai suoi occhi si concretizzano cose e persone che appartengono al mondo della fantasia, create dal subconscio, la realtà si modifica davanti a lui come per magia, rispondendo ai suoi bisogni e desideri. In un sogno che sembra dunque realtà, lui viaggia con la donna in bicicletta verso una Torre del Giudizio, piazzata proprio nel bel mezzo di una strada in una pianura sconfinata. Qui si crea un secondo livello onirico, il sogno dentro il sogno, e troviamo il protagonista in mezzo ad un diluvio che sommerge la piana e fa arrivare in soccorso un’arca di Noè. L’acqua che lo circonda, insieme a quella della città, porto fluviale o palustre, sembra quasi offrire la protezione del grembo materno.
La donna è la realizzazione freudiana del desiderio- una donna innamorata che lo attenda la sera-. E’ lei che decide per lui, che lo schiaffeggia all’occorrenza, sceglie il percorso, cerca e moltiplica il cibo, e lo guida verso un obiettivo prestabilito. E’ una concretizzazione terrena delle donne della letteratura trecentesca, divenuta realistica e sensuale, che ancheggia sulle scale muovendo eroticamente il fondoschiena davanti agli occhi di lui che la segue. Un angelo di carne sceso “a miracol mostrare” che sa dove portarlo anche se sembra lasciare a lui la libertà di scelta.
In una forma di circolarità della storia, dopo un lungo distacco che ce lo aveva fatto dimenticare, ricompare il direttore dell’archivio, ma ora è diventato un antiquario, e ritornano i personaggi emersi dalla ricerca d’archivio. In uno spazio che si dilata in orizzontale e sprofonda, questo antiquario diventa un novello Virgilio che guida verso l’assoluto. La meta è un paradiso laico, il mondo della musica, che richiede una discesa al centro della terra, tra spazi che si aprono gli uni negli altri, fino ad aprirsi sugli amanti della musica, i melologhi, tra cui i suoi originali avi e in primis il nonno mandolinista, che richiamano con infinita dolcezza di suoni. Il sogno restituisce concretezza alle radici ritrovate e impone una scelta difficile.
Romanzo che stupisce e sorprende ad ogni passo, questo di Trasciatti, per la forza dell’immaginazione, che, giocando sulla competenza archivistica, crea un intreccio complesso e stratificato, come è quello dei sogni, con forti valenze simboliche. Con una vena di umorismo che lo attraversa tutto, quello che nasce dalla stessa deformazione della realtà, fino al grottesco, e dai voluti contrasti e contraddizioni del ricercatore, tipo: “Non lo so, non ho trovato nessuno documento al riguardo, ma ne sono certo, è come se lo sapessi”. Il romanzo è arricchito da disegni dell’autore e di Timofey Kostin.

 

Marisa Cecchetti
(questa recensione è già comparsa su www.alleo.it)

  1. trasciatti on Mer, 05/06/2009 - 11:03

    Ieri finito tutto d'un fiato il libro.
    La via dell'orco...quest'orco che poi è così gentile, così curioso. Mi è piaciuto molto lo sfalsamento di piani e quando a un certo punto sembra che ci si debba immergere in sale polverose cariche di documenti,  ecco che arriva la donna, quella con la D maiuscola,
    quella che riesce a portare via e a rincretinire quell'orco alla
    ricerca delle proprie radici umane. Per un attimo un pensiero mandato a Il maestro e Margherita di
    Bulgakov, libro che ho amato all'infinito.

    La fatalità di un incontro acquisisce ancora più forza - a mio avviso - nel momento in cui la realtà si chiarisce in una surrealtà onirica (?) oppure, come mi piace pensare, una realtà normale solo che va guardata con occhi diversi e più lenti  e caleidoscopici rispetto a quelli naturali.

    Andrea Mello