• Kabala on Ven, 11/07/2008 - 18:54

    Sono d'accordo con entrambi, come consiglierebbe un vecchio proverbio hiddish. Ma vi faccio una domanda: comico e tragico non sono forse da riscontrarsi ad un livello ulteriore dell'ermeneutica rispetto alla semplice considerazione del racconto nudo e crudo?

    Mi spiego: secondo l'ermeneutica medievale, che secondo me rimane la migliore tra le varie chiavi di lettura possibile per un testo, i vari significati attribuibili ad un racconto si costituiscono nel "cuore" del lettore sul fondamento oggettivo del fatto narrato.

    Quel che conta non è il comico, ma l'assurdo. Ovvero il mondo di cause-effetto dove si situano le storie. Se questo mondo "fa cilecca" nei nessi causali, allora è assurdo. Altrimenti potrà essere fantastico quanto si vuole, ma assurdo mai. Nella toscana di Collodi, non è assolutamente assurdo che si abbia un pezzo di legno che parla, per quanto strambo e fantastico possa essere...

    A me non piace l'assurdo. Dunque cerco di toglierlo dai miei racconti deliberatamente, anche quando ci potrebbe cader bene. Perchè la realtà supera tanto la fantasia quanto l'assurdità. I fatti come sono vanno oltre di comico, di tragico, di ironico e di grottesco. Forse perchè nulla di questo è una proprietà dell'oggetto, ma del soggetto.

    E anche qui siamo all'ermeneutica medievale.

    Dovrei smettere con la roba che studio. Scusate. Trasciatti, dì a Learco che il Cacciucco è buono, e che smetta di non esistere per divertirsi ad incarnare l'assurdo, che cento talleri immaginati in fondo non valgono un fico secco.

    Sir Libeccio

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