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Nullo Amato
Gio, 02/11/2010 - 21:54
Roberto Amato, Il Disegnatore di alberi, Elliot 2009.
Si potrebbero dire molte cose su Roberto Amato. O anche niente. Anzi, forse sarebbe meglio non dire niente, mi sembrerebbe più adeguato alla sua condizione di poeta in fase di sparizione. Sì, perché è un dato di fatto che Amato, come poeta ma anche come uomo, si sta estinguendo. Il suo ultimo libro, Il disegnatore di alberi consta di sole 93 pagine, mentre il precedente, L’agenzia di viaggi era di 163 pagine e il primo, Le cucine celesti, di ben 172! Di queste 93 pagine, 20 – dico 20 – sono completamente bianche, quindi Amato ha dato alle stampe appena 73 pagine di poesia, che è il suo record negativo.
Non credo che tutto ciò sia un caso, perché ci sono altri elementi che confermano la tendenza amatiana all’assottigliamento, addirittura si potrebbe sospettare che Amato stia andando verso una specie di ermetismo, verso l’assoluto della pagina bianca. Infatti una sezione del libro si intitola “Le pagine bianche” e una addirittura “Il bianco”.
E mi pare che siano meno numerosi anche i personaggi, è chiaro che Amato sta facendo economia: qui abbiamo soltanto Roberto e l’innamorata Elsa, il marito di Elsa (che non si sa come si chiama, Amato ha risparmiato anche sul nome), la moglie di Roberto (che pure non ha nome), due figli appena accennati (Ondina e Ezechiele), poi c’è la madre di Roberto, il padre che scalcia verso le stelle, c’è un dottore ma è un vocativo molto vago…insomma il nucleo familiare – che per Amato è una sorta di compagnia teatrale - pare essersi rarefatto, l’universo si è ristretto alla dimensione del due, della coppia epistolare, che ha intorno alcune appendici ma che accentra su di sé la sostanza del racconto.
Come tutti i libri di Amato, anche questo è un libro di metamorfosi: l’io poetico-narrativo si modifica durante il corso del libro, roberto-fiore, roberto-albero, roberto-uccello, roberto-bambino; lo stesso dicasi del tu a cui il poeta si riferisce, questa Elsa che è di volta in volta donna-albero, donna-uccello, donna-bambina…
Prendo come esempio la poesia di p.56 (tratta dalla sezione intitolata “Il bianco”) e che mi pare esemplare sia di questa tendenza al bianco e al silenzio, sia della tendenza metamorfica della poesia di Amato, che trasforma continuamente il racconto in un accostamento analogico di immagini per somiglianza e opposizione:
Lo vedi?
Ti scrivo come potrebbe farlo
un uccello impagliato
che razzola a caso sulla carta.
Anzi
un uccello inamidato.
Ma
io ti dico così
perché il bianco mi perseguita:
è una scia…
…e anche i centrini che faceva all’uncinetto mia madre
poi li metteva nell’amido di farina o nella fecola di patate.
Il silenzio dev’essere una cosa del genere.
Una cosa che non se ne può parlare
(sennò s’incrina).
Tu mi dirai che in fondo sono un uomo reticente.
Ma capiresti se avessi visto come annaspava mio padre
nella materia oscura del cielo. In quella malta spessa.
Io lo guardavo e capivo che non era fatto per scalciare così
lui che era nato per brucare tranquillamente i licheni sulle tegole
e per tenere le corna basse
(non certo in segno di umiltà
ma per purissima
contrizione).
Somiglianza. Qui siamo appena prima della sezione intitolata “Nel parlatorio di una clinica per uccelli” e ci sono già le prime avvisaglie della trasformazione del poeta in volatile, infatti lui dice “Ti scrivo come potrebbe farlo un uccello impagliato”. Ora, che gli uccelli impagliati scrivano è tutto da dimostrare, ma resta il fatto che il poeta Roberto si descrive già in questa fase pennuta e mortuaria e tuttavia scrivente.
Subito dopo, la rigidità dell’impagliatura richiama un’altra rigidità, quella dell’inamidatura e quindi il poeta diventa addirittura un “uccello inamidato”, cosa più consona ad una mente perseguitata dal bianco (“io ti dico così/perché il bianco mi perseguita”), più consona giacché l’amido si usa per stirare le camice bianche. E infine, questo bianco di cose inamidate, di questi centrini fatti all’uncinetto, diventa silenzio: bianco = silenzio. Il poeta si dichiara “un uomo reticente”, che non parla, ma si giustifica facendo capire che è stato testimone di cose che non si possono esprimere a parole, che è stato soverchiato dalla visione dolorosa e impotente di quel padre che “annaspava nella materia oscura del cielo. In quella malta spessa”. C’è un moto di commozione, di pietà filiale e al tempo stesso di muta disperazione per non potere aiutare quel padre “che non era fatto per scalciare così/lui che era nato per brucare tranquillamente i licheni sulle tegole”. E questa dimensione affettiva e pietosa, questo ingresso in una sfera, diciamo più nera, di sofferenza indicibile è resa possibile dallo spostamento del discorso da oggetti bianchi a oggetti neri, dall’amido di farina alla malta oscura del cielo, quindi da un passaggio non giocato sulla somiglianza, ma sull’opposizione.
Amato fa economia, dicevo prima, ma questo libro è solo apparentemente il più semplice e il più breve. Direi piuttosto che è il libro più doloroso, tutto costruito su un senso di impossibilità e che ha – mi pare – il suo centro nella sezione “Dove il mondo cresceva nei sillabari”, perché lì si tocca perfino l’impraticabilità del ricordo, della fuga nel souvenir d’infanzia, perché anch’esso è ormai solo la proiezione di una impossibilità presente.
Alessandro Trasciatti
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Oggi ho trovato Il disegnatore di alberi a un'iniziativa di Bookcrossing a Milano, l'ho avuto in cambio di un saggio sui terrorismi. Se non ne avessi letto sul Trasciatti, però, probabilmente avrei scambiato il mio saggio sui terrorismi con una storia del rock dell'Arcana. Grazie Trasciatti, dunque, e molte scuse alla musica rock.
Randacrossing
Grazie a te Gianvittoriale, mi fa molto piacere che tu ti interessi all'Amato poeta, troppo poco noto purtroppo. Quanto al rock dell'Arcana, mi fa pensare ai Tarocchi, ma non so se sia corretto. Cos'è? Un gruppo? Un editore? Mi scuso molto con il rock arcano ma sono ignorante nella materia. Che tu fossi un po' terrorista però lo sospettavo.
Tanti abbracci
trascrossing