• nedovannini on Mer, 12/10/2008 - 13:26

    Il farmaco equivalente: che cos'è

    A differenza delle specialità medicinali, il farmaco equivalente non ha un nome di fantasia (il marchio registrato), ma viene commercializzato con il nome comune del principio attivo. Per essere più precisi, ed evitare confusioni tra i possibili sinonimi, per il farmaco equivalente si utilizza la Denominazione Comune Internazionale (DCI), che è una contrazione del nome chimico (di solito troppo lungo) accettata da tutte le nazioni. Sulla confezione dell'equivalente, quindi, compare la DCI (ad es., ceftriaxone), seguita dal nome dell'azienda produttrice.
    I principi attivi utilizzabili per i farmaci equivalenti sono quelli il cui brevetto è scaduto. In Europa la copertura brevettuale dura 20 anni, estendibile di altri 5 anni con l'SPC (Supplementary Protection Certificate) istituito nel 1992. In Italia, invece, fino al 1992 era in vigore il CPC (Certificato di Protezione Complementare) grazie al quale il periodo di monopolio totale poteva raggiungere anche i 18 anni. Questo certificato protettivo complementare rappresenta una delle cause che hanno frenato lo sviluppo dei farmaci generici in Italia.

    Il farmaco equivalente può essere sia da banco (acquistabile liberamente) sia prescrivibile (acquistabile solo con ricetta medica), esattamente come la specialità medicinale da cui deriva.

    Il farmaco equivalente è la "copia" di una specialità medicinale registrata, quindi deve avere lo stesso principio attivo, presente alla medesima dose, la stessa forma farmaceutica, la stessa via di somministrazione e le stesse indicazioni terapeutiche. Per queste caratteristiche si dà per scontato che il farmaco equivalente sia sicuro ed efficace (come già dimostrato dall'azienda che deteneva il brevetto), quindi la procedura per ottenere l'AIC (Autorizzazione all'Immissione in Commercio) è abbreviata e richiede solo le prove di bioequivalenza al farmaco che si intende duplicare.

    n.v.

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