Mar
28
Dark0: Uomini e pecore, quarta puntata
Dom, 03/28/2010 - 07:45 | Aggiungi un commento
4.
Avevo sentito di pastori sardi che parlavano con le proprie pecore convinti che queste capissero ogni loro parola. Avevo sentito anche di pecorai che combattevano la solitudine dei loro alpeggi montani trastullandosi con qualche capo ovino sommessamente disponibile. E avevo anche sentito una barzelletta sul nonno di Heidi – particolarmente volgare e quindi particolarmente ridicola – che aveva particolari vezzi sessuali sia nei confronti del suo gregge che della sua dolce nipotina.
Le storie su pecorai o pastori – per dirlo con una dose di poesia in più – tra noi, omini di città abituati ad asfalto e CO2, si riducono sempre alle solite tre o quattro e peraltro di bassa lega.
Quando sulla deviazione della statale ventuno direzione Bersezio, vedo questa pastorella che sembra uscita da una crepa temporale del presepe natalizio di mia zia, mi vengono in mente in un istante le due o tre leggende legate a questo antico mestiere.
Da omino di città non posso al sol pensiero che vergognarmi come una biscia.
La mia aspettativa riguardo la figura del pastore cuneese era davvero limitata.
Non voglio dire che me l'aspettavo con il cappello di paglia in testa, rosso in viso da buonvinononmente e con il bastone ricurvo da Gandalf il grigio, però non mi aspettavo certo di vedere un essere femminile: cioè una ragazza.
La convinzione che il pastore non possa essere una pastora e che il pecoraio non possa essere una pecoraia, mi rendo conto appartengono a tutto un insieme di convinzioni e pregiudizi che hanno origine nell'annosa questione della parità dei sessi e per la quale chi vi parla ha sempre fatto delle figure di merda pazzesche.
Al liceo, Mariateresa Montaldo era una che frequentava centri sociali, circoli rossi e sedi di partito con particolare coinvolgimento: un piglio femminista da far paura. Il fatto che non fosse eccessivamente carina – anche qui c'è della poesia sottesa – la rendeva nei suoi sproloqui sociopolitici particolarmente odiosa. Insomma non poteva accettare che noi ragazzi si potesse parlare di ragazze con un linguaggio da Dario Pellegrino. Dario era il classico bello, maledetto e ignorante come una capra: bocciato tre volte e finito per un anno nella nostra classe, era famoso per le sue scopate extrascolastiche. Il Pellegrino narrava con piglio molto colorito, di vogliosissime donne sui quaranta, fresche di matrimonio e con un'esagerata voglia di cazzo che solo lui riusciva ad appagare a pieno. Tali mitologiche donne vivevano fuori dalla quattro mura scolastiche e rientravano nella scuola sotto forma di aneddoti dettagliatissimi che il Pellegrino in qualche modo ci obbligava ad ascoltare nella pausa sigaretta, chiusi in bagno. Ogni qual volta che diceva che doveva parlarci, era per raccontare le storie scabrose delle sue scopate con queste porche di alto bordo. Su ogni vicenda il Pellegrino romanzava come solo gli abili cantastorie sanno fare. Le narrazioni si concludevano tutte con la frase: “E comunque le donne sono tutte puttane” o prudenti variazioni dallo stesso significato. E noi giù, tutti a ridere e a far sì con la testa.
Con la frase finale il Pellegrino si congedava teatralmente tra i nostri applausi mentali, facendo l'ultimo tiro alla sigaretta e andando via tre le volute di fumo e gli sguardi di ammirazione di noi piccoli sbarbetti della seconda B.
Sicuramente per spirito di emulazione più che per convinzione riguardo la natura femminile millantata dai racconti del Pellegrino, l'idea che le donne fossero tutte puttane – tranne le proprie mamme e le nostre sorelle, chiaramente – era diventata un leit motif delle nostre chiacchierate anche in assenza del nostro guru del cesso.
Così, una volta, ai diciott'anni di Marco Riccio, accadde il fattaccio. Marco stava davvero molto male perché si era lasciato con tale Luisa – storica ragazza del Riccio dai tempi delle elementari, conosciuta molto bene anche dal sottoscritto – e i suoi diciott'anni stavano prendendo una brutta piega perché si stava tutti intorno a lui a raccontare le storie che li avevano visti sempre insieme: Marco e Luisa forever. E c'eravamo un po' tutti e davvero stava venendo giù il magone a bestia e allora così, scherzando, me ne esco con la mirabile frase finale del Pellegrino – in una sorta di intimo memorabilia, visto che non lo si vedeva più da anni – a conclusione di una vicenda che ritraeva una Luisa dell'ultimo periodo molto più distaccata e caciarona.
Qualche risatina tra gli storici che ricordavano il Pellegrino come un comandante c'è pure stata, ma è stata schiacciata dal gelo successivo creatosi intorno. Il Riccio a due passi dal suicidio e gli altri attoniti che mi guardavano cercando di rimpicciolirmi con la sola forza dello sguardo.
Lì Mariateresa ha dato del suo meglio.
Impietosa nei confronti del mio scivolone, mi ha messo alla berlina o a qualcosa di simile alla gogna medievale, definendomi il figlio di quell'aberrazione della razza umana che aveva concepito anni e anni di maschilismo meschino e soffocante. Puntava il dito contro di me che, messo alle strette, ho tentato anche una difesa tattica, ma che ha sortito solo effetti indesiderati, infoiandola maggiormente. Accanto a lei, assuntasi a capitano incontrastato di un femminismo cosmico, tutta una schiera di ragazze insospettabili che avevano pensato che fosse il momento giusto per sfogare le loro frustrazioni ataviche su di me. Un capro espiatorio che mi valse l'etichetta, negli ultimi mesi del liceo, di misogino, insensibile e anche un po' moltostronzo. Arrivai al punto di sospettare che la voce fosse arrivata anche a certe professoresse che di conseguenza avevano adeguato il loro atteggiamento nei miei confronti alle dicerie del populino.
Insomma fu una vera e propria Caporetto.
Avevo riportato il Verbo nel momento sbagliato e ne avevo pagato le conseguenze.
Ancora oggi sto ben attento ad ogni parola riguardo la questione uomodonnaparitàdeisessi e a volte mi faccio così tante paranoie nel dire delle cose su una ragazza, che ho una stizza tremenda che dietro l'angolo ci sia sempre in agguato il rischio di offenderla. O Mariateresa Montaldo.
Per esempio adesso ,davanti a questa pastorella, il mio senso di colpa è talmente grande per i pensieri sulla pastorizia al femminile, che piombo in un silenzio catatonico. Non vorrei che pensasse che io stessi pensando che non può esistere un pastore donna o peggio che le donne non siano in grado di badare a un gregge. Oppure forse, pensa che, visto che ho notato che è proprio lei a guidare il gregge, posso – da maschio padrone – permettermi di toccare le sue pecore senza chiederle il permesso.
Uno psicodramma senza pari.
Mi si avvicina con passo deciso fissandomi negli occhi facendosi largo nel mare belante e quando è a due passi da me, abbassa lo sguardo e dice:
- Scusami Diego. Davvero.
- Leggi tutto
- 401 letture