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Un discorso di Paolo Nori
Gio, 04/17/2008 - 19:31
Discorso sulle bandiere anarchiche tenuto a Reggio Emilia il 20 marzo 2008 e confluito poi nel volume di Paolo Nori Pubblici discorsi, Quodilbet, Compagnia Extra, 2008. Guarda il video.
Buongiorno. Vi ringrazio per l’invito. Si sente se parlo così? Bene. Buongiorno. La prima cosa che mi viene da dire è che oggi, 20 marzo, è il giorno che mi son laureato. E anche il giorno che mi han congedato da militare. Il 20 marzo. Brutta cosa, il militare. Io l’ho fatto a Piacenza, e quando lo dico tutti pensano Raccomandato, invece era una caserma operativa che ci chiamavano a operare quando veniva la neve, e quell’anno lì, 1985, è stato l’inverno più rigido del secolo, dicevano. Altro che raccomandato. Raccomandati sarete poi voi, mi vien da pensare quando dico che ho fatto il militare a Piacenza e quelli a cui lo dico mi guardano come per dire Raccomandato, e a me viene in mente la neve che è data nell’85, inverno più rigido del secolo, dicevano, chissà se è vero.
Ogni secolo ci son sempre otto o dieci inverni, che sono i più rigidi del secolo, non so se ci avete fatto caso. Così come ogni estate ci son sempre due o tre giorni che sono i più caldi del secolo, non so se ci avete fatto caso. Il caldo percepito, si potrebbe fare un lungo discorso anche sul caldo percepito, ma torniamo al nostro tema.
Eran tutti e due dei lunedì, il 20 marzo quando mi han congedato, e il 20 marzo quando mi han laureato.
Che poi quella parola lì, laureato, a pensarci significa che ti mettono in testa una corona d’alloro che a me non l’han messa, per fortuna. Io quella gente che gira in centro a Bologna con in testa delle corone d’alloro, gli darei in mano delle vanghe, ma lasciamo perdere torniamo al nostro tema.
Anche il giorno che son nato, era un lunedì, venti maggio, però. E oggi, 20 marzo, non è un lunedì, è un giovedì. Pazienza. Andiamo avanti lo stesso. Pace. Cosa vuoi fare. Non tutte le ciambelle vengono col buco. Andiamo avanti torniamo al nostro tema.
L’altra cosa che mi viene da dire, è che in primavera, ormai ci siamo, succedon due cose, una, che ti vien da dormire di più, invece non bisogna, dormire, l’altra, che cominciano a puzzarti i piedi, e bisogna lavarli.
Non lavarsi i piedi è segno di indifferenza verso se stessi e verso gli altri, e l’indifferenza, a meno che non la si spinga verso la vetta dell’imperturbabilità, non è mica una bella cosa. Si può dire, per esporre una regola generale comprensibile a tutti, che se uno non la sente, la puzza di piedi, va bene, è imperturbabile può anche fare a meno, di lavarseli, se uno la puzza dei piedi la sente e non se li lava, quella lì è finta indifferenza, quella è pigrizia, e a quelli che hanno qualcosa da obiettare mi viene da ricordare quel che dice il Corano, che dice, se non ricordo male, che se hai l’acqua solo o per bere, o per lavarti, la devi usare per lavarti. Dopo non dice I piedi, però. Cos’è che puzza? Di più? I piedi o le mani? Non dico altro.
Un mio conoscente di Modena, a chi gli chiede come mai tiene per il Milan, risponde che il Milan, in origine, come testimoniano i suoi colori, rosso e nero, e il suo simbolo, il diavolo, era una squadra anarchica, fondata, se non ricordo male, da ferrovieri anarchici. È una squadra che sta attraversando un momento difficile, dice, ma che prima o poi tornerà alle sue nobili origini, dice quel mio conoscente di Modena, se non ricordo male. Perché delle volte, uno non si ricorda le cose come son state, ma come vorrebbe.
Per esempio, siam sicuri che io sono proprio nato di lunedì? Io spero di sì. Perché il lunedì, a me, come giorno, mi piace moltissimo. Diversamente da degli altri giorni. Come il giovedì, per esempio. Il lunedì si capisce, a cosa serve, ma il giovedì? A cosa serve il giovedì? In Francia stanno anche a casa da scuola, mi han detto, se non ricordo male.
Comunque. Voi fate come volete. Vi piaccion le bandiere?, guardate le bandiere. Gli anarchici. Io una volta avevo un amico, che non era anarchico, era un po’ di destra, come inclinazione. Allora una volta dovevamo andare a suonare, suonavamo insieme, per così dire, nessuno dei due era capace, lu non aveva neanche lo strumento, dovevamo andare a suonare a una festa anarchica, lui mi aveva telefonato, mi aveva detto, Ascolta, non c’è mica quella festa anarchica lì.
Perché? gli avevo chiesto io.
Ascoltami bene, mi aveva detto lui, mettiamo che io sono un anarchico.
Eh.
Mi telefona uno mi dice La prossima settimana c’è una festa anarchica.
Eh.
E io cosa gli rispondo?
Gli rispondi Va bene.
No, io gli rispondo, io non vengo, perché sono anarchico.
Che secondo me non aveva poi tutti i torti. Difatti è anche abbastanza stupefacente, che stasera ci sia tanta gente. Quanta gente c’è, spetta che li conto. Uno, due tre, quattro cinque, sei, sette, otto, nove, dieci, undici, dodici, tredici, quattordici, quindici, sedici, diciassette, diciotto, diciannove, venti, ventuno, ventidue, ventitre, ventiquattro, venticinque, ventisei, ventisette, ventotto, ventinove, trenta, trentuno, trentadue, trentatre, trentaquattro, trentacinque, trentasei, trentasette, trentotto, trentanove, quaranta, son più di quaranta. Vacca. Guarda che è strano. Chissà se son tutti anarchici. Perché gli anarchici, andarci d’accordo, non è mica facile. Io ci vado d’accordo, di solito, ma io non faccio mica tanto testo, mi piace il lunedì. Che anche quell’espressione lì fare testo, cosa vuol dire? Fare pena, si capisce, ma fare testo, cosa vuol dire? Mah.
Gli anarchici, basterebbe leggere Istante propizio, 1855 di Patrik Ourednik, edizioni :duepunti Palermo, difficilissimo da trovare nelle librerie. È quasi inutile che lo cercate che tanto non lo trovate, ve lo spiego io.
Allora, ammettiamo che voi cominciate a leggere Istante propizio, 1855.
Be’, dopo dipende, ma se siete uno che ha frequentato per un po’ la letteratura anarchica, e in questa letteratura, intesa in senso lato di pubblicistica, includente per esempio anche il libro di Pëtr Kropotkin Il mutuo appoggio, difficilissimo da trovare, anche lui è quasi inutile che lo cercate che tanto non lo trovate, dopo vi spiego anche quello, se siete uno che nella letteratura anarchica in senso lato ha trovato qualche sollievo e qualche momento di contentezza, anche grande, come è successo per esempio anche a me, se siete uno che si trova in queste condizioni può darsi che vi succeda, leggendo la prima parte di Istante propizio, 1855, che vi vengano su delle sensazioni come quelle che vi sono venute su quando avete incontrato quella letteratura, intesa come pubblicistica, e nel mio caso, a me leggendo la prima parte di Istante propizio, 1855 è venuta su la sensazione che ho avuto quando ho letto una frase di Proudhon che poi è diventato anche il testo di una canzone di un gruppo dove non suono, il gruppo si chiama I nuovi Bogoncelli, è quello dove non suonava anche quel mio amico che non aveva neanche lo strumento, la canzone si intitolava Inno ortodosso e la frase è questa qua:
Essere governati significa essere guardati a vista, ispezionati, spiati, diretti, legiferati, valutati, soppesati, censurati, comandati da persone che non ne hanno né il titolo, né la scienza, né la virtù. Essere governati significa essere, a ogni operazione, a ogni transazione, a ogni movimento, annotati, registrati, censiti, tariffati, timbrati, tosati, contrassegnati, quotati, patentati, licenziati, autorizzati, apostrofati, ammoniti, impediti, riformati, raddrizzati, corretti. Significa, sotto il pretesto dell’utilità pubblica e in nome dell’interesse generale, essere addestrati, taglieggiati, sfruttati, monopolizzati, concussionari, pressurati, mistificati, poi, alla minima resistenza e alla prima parola di protesta, repressi, multati, vilipesi, vessati, taccheggiati, malmenati, fucilati, mitragliati, giudicati, condannati, deportati, sacrificati, venduti, traditi e, come se non bastasse, scherniti, beffati, oltraggiati, disonorati. Ecco il governo, ecco la sua giustizia, ecco la sua morale!
Che poi Proudhon, ho provato anche a leggere delle altre sue cose più lunghe, per esempio Che cos’è la proprietà?, non si riesce molto bene, a leggerlo, cosa che per dire lui Proudhon la sapeva benissimo, «Io sono uno scrittore mediocre, tra cinquant’anni non riuscirà a leggermi più nessuno», diceva Proudhon di se stesso e sarebbe diventato con questo ancora più simpatico, se fosse possibile diventar più simpatici dopo aver scritto la frase che ho detto prima che con quella lì uno s’è già conquistato l’immortalità, per conto mio, ma non parliam di Proudhon che ci porterebbe da tutt’altra parte.
Dopo poi, ci son sempre anche le bandiere, se le volete vedere.
Mi verrebbe da ricontare per vedere quanta gente è andata via. Cosa facciamo? Ricontiamo? O raccontiamo coso lì, Il mutuo appoggio? Che poi c’è ancora anche da finire anche Istante propizio, 1855.
Istante propizio 1855, dicevo, la prima parte uno si convince, se è uno che un po’ predisposto, che l’unico possibile ordinamento sociale, l’unica forma di organizzazione sociale che ha qualche speranza di essere giusta e di produrre dei risultati come si deve non è né la democrazia, né l’autocrazia, né l’oligarchia, né la plutocrazia, né la partitocrazia, né la burocrazia, è l’anarchia.
Dopo, nella seconda parte del libro, uno si accorge che l’anarchia, è impossibile.
Che è una cosa che secondo me, prende l’anarchia proprio nel suo significato più intimo, per come la capisco io, di unica soluzione possibile, bellissima e miracolosa, e destinata a fallire.
L’anarchia, secondo me, ha sotto un’idea, che l’uomo è buono, e ogni sconfitta dell’anarchia, secondo me, è una sconfitta di questa idea, che l’uomo è buono, e tutti i giorni in tutto il mondo quel che succede, secondo me, non c’è altro che delle sconfitte dell’anarchia.
Ogni movimento in direzione dell’anarchia, secondo me, è un movimento che nella sua essenza, fin dall’inizio, è votato alla sconfitta.
La canzone più famosa degli anarchici, mi ha fatto notare una volta un mio amico, è una canzone che comincia dicendo «Addio Lugano bella, O dolce terra mia, Scacciati senza colpa, Gli anarchici van via».
È come se ogni idea anarchica, secondo me, fosse un’idea che parte per esser sconfitta, e ogni sconfitta di questa idea, secondo me, è una sconfitta del fatto che l’uomo è buono, e ogni volta che succede ci sarebbe da piangere, a pensarci bene.
Non so se riesco a farmi capire. Se non capite dopo ci sono anche la bandiere.
E così, abbiamo finito. C’è rimasto solo Kropotkin.
Pëtr Kropotkin era un nobile russo di antica famiglia principesca discendente dalla dinastia di Rjurik, paggio dello zar alla corte di Pietroburgo che negli anni sessanta dell’ottocento ha rinunciato a tutte le sue ricchezze e ai suoi privilegi per dedicarsi all’anarchia e che ha scritto un libro che era la confutazione della teoria dell’evoluzione di Darwin, cioè non della teoria dell’evoluzione di Darwin, ma del modo in cui quella teoria la usavano i Darvinisti e anche i non darvinisti ai quali faceva comodo pensare a un mondo dove sopravvive solo il più forte.
Il Mutuo appoggio di Pëtr Kropotkin è un libro che confuta coloro che, “per motivi personali, avevano elevato la lotta senza pietà all’altezza di principio biologico al quale l’uomo deve sottomettersi sotto pena di soccombere in un mondo fondato sul reciproco sterminio.
In quel libro lì, introvabile, nella sua edizione integrale, ci sono tutti gli esempi, tratti dalla natura, di individui debolissimi, quando sono da soli, che quando si mettono insieme diventano imbattibili, come le formiche, per dire, che come individui son debolissimi e come specie sono imbattibili. “La vita in comune, – scrive Kropotkin, “rende i più deboli insetti, i più deboli mammiferi, capaci di lottare e di proteggersi contro i più terribili carnivori e contro gli uccelli rapaci”, e “i meglio dotati per la vita,” secondo Kropotkin, “sono gli animali più socievoli, non i più spietati.”
E niente. Adesso non so come finire. Potrei finire così: Adesso è già quasi sera, dopo c’è: Venerdì, sabato, domenica. E dopo ci siamo.
Quanti lunedì ho vissuto, in vita mia? Ho quasi quarantacinque anni, per 52, 2.340. E quanti non lunedì ho vissuto? Ho quasi quarantacinque anni, per 365 meno 52, cioè per 313, 14.085.
Non c’è mica da star tanto allegri.
Però si sta così bene, non vi sembra anche a voi che si stia cosi bene?
Ho finito.
Paolo Nori