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Francesca Duranti: I dubbi e le certezze
Gio, 06/05/2008 - 16:32 | Aggiungi un commento
Vi ricordate la storia del cane fatto morire di fame in una mostra d'arte? C'è chi dice che la notizia sia stata inventata di sana pianta, chi dice invece che la storia sia vera ma che il cane sia stato alimentato per tutta la durata della mostra e che sia morto perché fosse malato (e allora perché non portarlo da un veterinario invece di esporlo?). Ad ogni modo, sulla rete si sono moltiplicate in questi mesi le petizioni, gli appelli, le invettive, i ragionamenti. Fra i tanti, ci piace riportare qui sotto quello di Francesca Duranti, nota scrittrice ed amante dei cani.
I dubbi e le certezze
Una notizia circola in rete da qualche tempo, io la vedo solo ora. Forse, lo spero, non è vera. Perciò quello che segue vale solo “se”. Pare che l’artista Guillermo Vargas Habacuk abbia esposto nel 2007 la seguente “Installazione”: un cane randagio legato in una galleria d’arte e lasciato senza acqua né cibo fino a che non è morto. Pare anche che la Biennale Centroamericana dell’Arte abbia decretato che questo è “espressione artistica” ed abbia chiesto a Vargas di riproporre la stessa installazione nel 2008.
Non pretendo di esprimere pareri definitivi sul giudizio critico dei curatori della Biennale. Non li esprimo neppure in un campo a me più congeniale, perché non dimentico, per esempio, che il Marino fu per lungo tempo considerato molto più grande di Dante, Petrarca e Boccaccio. Figuriamoci se voglio dire la mia sulla pittura o su quant’altro si espone oggi nelle gallerie d’arte. Anche lì mi limito a osservare, dal di fuori, che artisti acclamati vent’anni fa oggi hanno dovuto cambiare mestiere per campare, mentre di altri, che sono morti in miseria agli inizi del secolo scorso, ora si vendono le opere da Sotheby a suon di svanziche. Di cosa sia o non sia arte, quindi, non mi impiccio. E, aggiungo, non me ne potrebbe importare di meno.
Sostengo che un codice penale e un’etica popolare che non ristagnino in un passato di oscura brutalità dovrebbero avere una più chiara visione su cosa permettere e cosa proibire, e che ideare l’istallazione di Vargas, accettare di esporla in una galleria, visitare quella galleria senza affrettarsi a chiamare la forza pubblica è segno di un ben triste livello di evoluzione. In un paese civile l’autore e il gallerista dovrebbero essere stati denunciati e condannati. E sono dei cacasotto sociali e culturali i visitatori troppo timidi per dire che proprio non riuscivano a vedere il vestito nuovo dell’Imperatore, o che – se pure lo vedevano – lo giudicavano troppo caro, se il suo prezzo era la sofferenza e la morte di un animale innocente.
Aggiungo che tutta la comunità artistica contemporanea, mercanti, galleristi, critici, autori che non hanno ritenuto necessario battere un colpo in questa circostanza, sono più trapassati di quanto già si diceva che fossero.
(da www.francescaduranti.it; in alto: dipinto di Nicoletta Calvagna)
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