Qualche motivo per leggere l'Accalappiacani

 

Perché ci sono testi brevissimi che hanno la forza, l'ironia e la bellezza degli aforsimi: "Il mondo è crudo. Bisogna saperlo cucinare", per esempio.

Perché si fanno delle gran risate leggendo storie che certi scrittori romani benestanti chiamerebbero storie di sfigatismo: "Memorie di una comparsa", per esempio.

Perché ci sono vibranti, davvero vibranti trascrizioni di narratori orali ("Angiolino"), che poi di solito sono personaggi semicolti che difficilmente si metterebbero a scrivere la loro storia, ma raccontarla a voce lo fanno volentieri. L'idea non è nuova, certo, vien su da Zavattini, è passata dal Semplice (la rivista di qualche anno fa), si è concretizzata nel libro di Alfredo Gianolio "Vite sbobinate". Ma che vuol dire? Il primo recensore, anzi stroncatore, dell'Accalappiacani diceva che sembra di leggere sempre la stessa rivista. Ma il fatto è che questo dei narratori orali (e della scrittura oraleggiante) è un filone ricchissimo, una miniera, e perché dunque non continuare ad estrarre dal sottosuolo belle storie di semicolti, quando ce ne sono ancora tantissime e freschissime da leggere?

La scelta redazionale di non firmare i pezzi può dare a qualche lettore un leggero senso di frustrazione; ma è anche un invito al gioco dei riconoscimenti, riconoscere la mano di un autore o di un altro. Comunque non è questo il punto. Piuttosto il fatto è che si tratta di un serpentone di testi che sembra seguire un'idea di manganelliana sconclusione: non ci sono firme, non ci sono rubriche, sezioni, non c'è un ordine gerarchico dei pezzi. Ne viene fuori una sorta di quaderno collettivo, che è anche segno di umiltà da parte degli autori, conosciuti o sconosciuti non importa, tutti dentro alla pari, solo i nomi in copertina.

Tanto per citare di nuovo il Semplice (che comunque è un punto di riferimento, visto che molti autori sono gli stessi) c'era una rubrica che si intitolava "racconti per rendersi perplessi" e forse anche l'Accalappiacani è una rivista per rendersi perplessi. Per togliere le certezze che un lettore di solito ha quando compra una rivista o un libro. Ad esempio, nel primo numero, c'erano dei testi, diciamo, di letteratura involontaria, cioè dei testi che non erano nati con un fine estetico-letterario ma che, estrapolati e ricontestualizzati in una rivista di letteratura, diventano letterari. Un'operazione simile a quella dell'arte concettuale che prende, che so, una sedia e la mette sotto vetro e la sedia diventa opera d'arte.

Comunque, in questa sconclusione, ci sono dei leit-motiv, dei ritornelli, dei tormentoni. Soprattutto, in questo secondo numero, il tormentone è Moravia, inteso come prototipo dello scrittore affermato e atteggiato, lo scrittore che vive di rendita sull'ostentazione del suo essere scrittore. Moravia viene preso in giro nelle manierie più fantasiose: ad esempio attribuendogli i dati biografici di un noto cantante, oppure ritraendolo in una serie di disegni dove c'è tutto fuorché Moravia.

L'Accalappiacani è una rivista molto d'avanguardia, direi. Con la differenza che nelle riviste d'avanguardia non si capisce quasi niente, mentre qui si capisce quasi tutto. E' una rivista che le maestre elementari ci impazzirebbero e starebbero lì tutto il tempo a tirar dei freghi rossi e blu, a mettere le virgole dove non ci sono, le maiuscole dopo il punto, le virgolette nei dialoghi. Ma ci impazzirebbero anche gli scrittori che insegnano la scrittura creativa (mi metto nel novero) e cercano di fare scrivere agli aspiranti scrittori dei racconti così e così, con un inizio, una trama, una conclusione. E invece qui ci sono racconti che hanno solo l'inizio o solo la fine o magari solo il mezzo, tornano indietro, ricominciano, oppure svaporano subito. Per questo io farei adottare l'Accalappiacani in tutti i corsi di scrittura, dove ci sono degli aspiranti scrittori che vogliono scrivere dei bei racconti con delle belle frasi. E poi finisce che dopo mezza pagina, poverini, hanno già ingolfato il racconto con mucchi di parole prese a prestito qua e là o sentite nei film.

L'Accalappiacani è anche una rivista che tende verso Est, una rivista un po' praghese e anche un po' russa, molto russa. Con tanti bei disegni russi, anche non russi, ma che un po' russeggiano, con delle pagine mezze disegnate e mezze di parole, o di parole messe un po' a disegno, tipo calligrammi. Forse, allora, invece che una rivista d'avanguardia, bisognerebbe dire che è una rivista un po' retrò. Da futuristi russi in Valpadana, oggi che il futurismo non c'è più (e forse neanche la Valpadana).

a.t.

(Guarda il sito: www.laccalappiacani.it)

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