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Maurizio Antonetti: Spoon Ribes 2
Mar, 06/30/2009 - 22:45
Verso la fine del secondo anno di liceo venni beccato in una via del centro con l’Antologia di Spoon River in tasca. Era un sabato pomeriggio, in pieno “struscio”, durante la sfilata delle Timberland, El Charro, Uniform ed altre griffes di allora, più o meno dimenticate. In pratica, le prove generali di quella che, nel decennio successivo, sarebbe diventata la filosofia imperante: “se-non-sei-fico-non-sei-della-tribù”. E niente è meno fico di un libro che sporge dalla tasca laterale della felpa. Certo, anche il titolo ha la sua importanza. In ogni epoca, in ogni città, c’è sempre un testo su cui si può chiudere un occhio. Un “Tre metri sopra il cielo” a Ponte Milvio, nei primi anni ’00, è ok, se vuoi darti arie da lucchettaro di quartiere; un “Va’ dove ti porta il cuore” sul rapido Padova-Mestre, nell’estate del ‘95 può ancora risultare fico, ma solo se devi regalarlo a una ragazza; con un “Gabbiano Jonathan Livingston”, te la cavi ovunque, a partire dagli anni’70.
Con “Spoon River” sei fuori.
Per inciso, quello stesso inverno, sono certo di aver pedalato almeno un paio di volte, nella stessa via del centro, con i sonetti del Foscolo pressati nel portapacchi della graziella presa in prestito da mia sorella. Era un’edizione recuperata per due lire su una bancarella, che riservavo ai pomeriggi di poesia di uno sfigato circoletto letterario, nella speranza di farmi notare da Sara (ma questa è un’altra storia). Oggi il mio soprannome potrebbe essere “Sepolcro”, se in quel paio di occasioni la graziella stessa non mi avesse reso invisibile agli occhi dei compagni (e a quelli azzurri, maledettamente belli, di Sara).
“Spoon Ribes” è uno di quei nomignoli che restano attaccati, che ti marchiano per l’eternità. Più a causa dell’insensato richiamo alle bacche da pasticceria che per i meriti poetici di Lee Masters. Sono trascorsi vent’anni, e la trasformazione da “River” a “Ribes” rimane avvolta nel mistero. Sospetto che c’entrino qualcosa i grappoli di brufoli, rossi e globosi, che all’epoca crescevano sulla mia faccia al posto della barba. Con l’aggravante delle voci, assolutamente false, che qualche imbecille aveva messo in giro in quella terribile stagione della vita che è il liceo. Voci secondo cui, la notte, anziché uscire a rimorchiare, avrei preferito restarmene davanti alla TV a ripulire col cucchiaio i barattoli di marmellata; che a colazione avrei fatto fuori ogni mattina un’intera crostata di ribes, e così via. In realtà non ho mai sopportato il sapore del ribes. E, detto tra noi, dopo mezzanotte ingurgito solo nutella. O meglio, ingurgitavo, visto che nessuno si è mai degnato di portarmene un barattolino sulla tomba.
Il ribes, invece, continua a perseguitarmi anche dopo la morte.
Ogni tanto Sara (sì, proprio lei, con quei due turchesi negli occhi che, in vita, non si sono mai posati su di me), viene a trovarmi con un ramoscello di bacche, confezionato come il vischio per Natale. Non so perché lo faccia. Se per l’elementare, umana pietà che si riserva ad un ex-compagno di liceo passato prematuramente a miglior (?) vita, se per alleviare un tardivo, ormai inutile, senso di colpa, o per continuare ad umiliarmi da morto con il ribes, così come da vivo aveva fatto con l’indifferenza.
Purtroppo, neppure i morti riescono a leggere nella mente delle donne. Non io, quantomeno. Degli altri non so assolutamente nulla. Forse, qui intorno è pieno di defunti che si rivoltano nella tomba, inorriditi dai segreti inconfessabili delle vecchiette che ogni mattino accorrono a cambiare i fiori sulle tombe di padri, mariti, amanti, figli. Magari c’è perfino chi si fa quattro risate, tre metri sotto terra.
Per quanto mi riguarda, riesco a sentire soltanto le parole. Tutt’al più i sussurri, dato che sono morto ad un’età in cui l’udito funziona benissimo. Stessa cosa per la vista, sebbene, ultimamente, mi capiti di faticare un po’ per mettere a fuoco da vicino (che a quarant’anni si diventi presbiti anche da defunti?).
Il vero problema è che dispongo di un punto d’osservazione un po’ troppo limitato. Più o meno all’altezza di un nano da giardino, dove – suppongo – qualcuno avrà piazzato una mia foto sorridente, ammesso che ne abbiano trovata una. Da qui osservo, ascolto, rifletto, mi annoio e, ogni sera, quando non c’è più nessuno, mi addormento. Tranne quando viene Sara.
Di solito si fa viva poco prima del tramonto, all’ora in cui tutti si affrettano a lasciare il cimitero. Dopo un breve girovagare tra le lapidi, si piazza davanti alla mia tomba, da sola, senza un sospiro, una parola, neppure una requiem eterna a fil di labbra. Depone il suo ridicolo mazzo di ribes, fra i ciclamini e i fiori secchi, e rimane a lungo a fissarmi, senza tradire emozioni o sentimenti di alcun genere.
Ma ciò che più mi addolora è che, ogni volta, se ne va nel cuore della notte, quando neppure i morti vorrebbero essere lasciati soli. Ed è ormai troppo tardi per dormire.
(Nella foto: cippo in memoria dei martiri di Montemaggio, tratta da www.resistenzatoscana.it)
...maurizio, sai regalare emozioni e cristalli il tempo....da brivido! bravo!!!
elisabetta bordieri
Grazie, Eli, ma il merito è tutto delle crostate di ribes che mi mangio a colazione.
Mangiane di meno e lascia qualcosa anche al Trasciatti.
Il Trasciatti
Freni la lingua e la gola, caro Direttore: non vorrà diventare come il gatto del Cirolla! dalle crostate mattutine io traggo solo ispirazione, ma Lei, Sig Trasciutti, ne ricaverebbe dei bei chilomicroni.
M
Da non confondersi con i chilomicioni come, appunto, il gatto del Cirolla.
Post M
Allora, inviterei il sig. M a volere dare qualche chiarimento sui chilomicroni, che mi suonano sospetti. Quanto al gatto del Cirolla, diventare come lui sarebbe per me un onore. Già che ci sono, ringrazio il Cirolla per avermi inviato una preziosa mail che non ho ancora letto, ma che leggerò appena finito di mangiare i miei croccantini d'ordinanza.
Doblone Trasciutti
Mah.
Dopo una certa assenza dalle letture del Lunario, stavo perfino per scrivere un commento su questo testo.
Ma odio i gatti. Soprattutto a colazione, e sulle lapidi dei giovani poeti morti.
Lebeccio antifelino
Non fare il prezioso! Bastardaccio di un Libetico. Bentornato! Dai, scrivi un commento come si deve, non ti fare pregare. Lo aspetto.
Direttissimo
Sì, una robusta libecciata tra le lapidi che spazzi via i peli dei gatti e altre lordure estive è quello che ci vuole.
M
Complimenti e un ciao, Oscar
Immagino che il messaggio sia per Maurizio. Siccome non c'è mai, rispondo io: Grazie, ciao Oscar.
Il Trasciatti
Ci sono, ci sono. E nonostante il signor T si diletti a rubare la scena, vorrei ringraziare personalmente Oscar, la cui visita mi onora, essendo egli un finissimo scrittore di gialli leggeri, ironici, divertenti e poco trucidi. In una parola,"soft-boiled". Cercare per credere...
Grazie ancora, Oscar!
M
Bene, son contento anch'io. Nonostante ciò, confermo che non ci sei mai e ti bollirei volentieri.
Il signor T