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Nicola Dal Falco: Stazioni
Mer, 05/19/2010 - 19:47
Stazioni
Non c’è stazione ferroviaria senza la pace del matto o del randagio, la sua intermittente presenza, il suo libero e sacrosanto feudo.
Cosa li attiri è forse un segreto celato nel continuo andirivieni, nell’assistere ad un’azione che non li riguarda.
L’infinita porta dei binari li interessa proprio come porta temporale, senza traguardi in vista e con minime soste, fitte d’orari e quindi di nulla rispetto allo scorrere della luce e dell’acqua sui binari stessi.
Hanno l’aria di occupare l’assenza con stracci e risate. Eleganza della mendicità che giro intorno al perno, né va, né torna, danzante sul posto come le stelle.
Sono un viaggiatore secolare, salgo volentieri in treno, navigo.
Se ci fosse la neve, seguirei con lo sguardo le orme della volpe; e già le ciliegie su quei rami spezzati mi fanno trasalire. Un nome e molte carezze.
Lungo i binari, dove ribatte l’erba in un riflusso d’aria, l’attesa dei papaveri, tra braccia di sonno e di vento, non più vermiglia si fa azzurra.
E pare mare, la pianura incivilita oltre ogni dire. Sola si salva qualche chiazza di turbata, quasi iraconda, quiete. Sono arbusti e piante migranti prima che torni il bosco.
La terra spogliata si ricopre in fretta con il paesaggio che cerca il proprio volto, il proprio acume di bellezza, di traduzione in acqua e semi.
Il treno non accelera, ma sembra meditare una fermata improvvisa, dettata per inerzia dal richiamo di un merlo, dal fissare dei cani e dal silenzio nella pioppeta.
Un nome e molte carezze.
Bisogna lo riprenda il treno!