Paolo Albani: Il tipografo

 
Non appena ebbe finito di presentarsi: "Piacere, mi chiamo così e così", rimasi sconcertato e subito mi venne in mente, non so per quale strana associazione d'idee, il conte Carrucci della Sommaia, cioè Guglielmo Libri, e le sue disavventure giudiziarie che, com'è noto, gettarono un'ombra sinistra sul grande bibliofilo.
- E cosa fa nella vita? - chiesi quasi soprappensiero, senza far vedere che ero rimasto sorpreso all'annuncio del suo nome, pensando dentro di me: "Non può essere quello che sospetto, sarebbe troppo bello!"
- Sono tipografo - rispose lui, senza scomporsi, candidamente.
- Ah! - feci io, che mi sarei messo a ballare il tip tap su un tavolo, alla Fred Astaire, dopo quell'inaspettata coincidenza. Ma invece restai impassibile, torturandomi la cintura dell'accappatoio, sbirciando con la coda dell'occhio l'ora e la data sul display del mio orologio, poggiato sopra un divanetto, per fissarmi bene il ricordo di quella conversazione.
- Il tipografo... di professione? - poi aggiunsi balbettando, come a volere una conferma, tanto per essere sicuro che non avevo capito male.
- Sì, certo, il tipografo di professione - disse lui, aggrottando le sopracciglia, stupito della domanda. - Insomma, stampo libri e altro materiale cartaceo.
- Capisco - dissi io. - Ed è da molto che fa il tipografo? - chiesi ancora, distrattamente, perché non volevo che la chiacchierata prendesse la piega di un interrogatorio.
- Si può dire da sempre - rispose lui, gentile. - La nostra è una famiglia di tipografi.
E qui si fermò, fece una pausa: sulla parola "tipografi" sentii levarsi, nitida, una punta di orgoglio. - Pensi che un mio avo, - proseguì scandendo lentamente le parole - sposò nel 1465 a Venezia nientemeno che una cugina di Gutenberg. La sposò che aveva ventidue anni e aveva già stampato il suo primo libro, le poesie d'amore di Angelo Brusolin, un poeta cui piaceva più, se mi passa il termine, la mona della letteratura, e che non a caso, da certi critici moderni, fu ritenuto un precursore del Baffo.
Verso la fine di giugno, sul bordo della piscina dell'Hotel Terme San Filippo, immersa in un ampio parco nei pressi di Siena, il signor Tomo Fresco - si chiamava così il mio interlocutore, straordinario esempio di nomen omen, uno scherzo della natura, registrato esattamente in quel modo premonitore, Tomo Fresco, all'anagrafe del comune di Mogliano Veneto - mi confidò, fra un bagno termale e un massaggio fisioterapico, la sua grande passione per l'arte tipografica.
Come me era lì alle terme per curarsi un fastidioso reumatismo, lui al braccio destro, io invece a quello sinistro, all'interno di un programma che prevedeva un "soggiorno benessere" della durata di tre giorni.
Al nostro secondo incontro, sorseggiando una tazza di tè sotto un gazebo che fiancheggiava la piscina termale, entrammo in confidenza e ben presto lo vidi illuminarsi quando prese a raccontarmi con grande trasporto e precisione delle gioie che derivano dallo stampare libri. Per un po' non fece altro che parlare della sua tipografia, delle nuove macchine che aveva comprato da una fabbrica tedesca; delle loro prestazioni strabilianti; mi stordì con una pioggia di termini astrusi, di corpi, scomposizioni, giustezze e di altri tecnicismi di cui mi sfuggiva il significato.
D'un tratto - mostrando di nuovo una punta di orgoglio - mi confessò di aver stampato, per conto dell'editore Falaschi, una raccolta di articoli usciti su il Corriere di Mestre negli anni 1960-1970 a firma di Sandro Bartolini, un giornalista di cui oggi nessuno si ricorda più, ma che allora (in pieno boom economico italiano), fece scalpore per una serie di pezzi sensazionalistici, un anticipatore del giornalismo d'assalto, un collezionista di scoop.
- Pensi che fu Bartolini - disse Fresco mentre una signorina in camice bianco gli massaggiava energicamente il braccio dolorante - che scoprì la verità sulla storica nuotata che Mao Tse-tung fece il 26 luglio del 1966. La verità è che "il grande timoniere" fu aiutato da un sommozzatore della marina militare cinese che lo tenne a galla per tutto il tempo in cui nuotò nel fiume Azzurro. Il sommozzatore lo sorresse appoggiandogli le mani sul ventre, restando sott'acqua, in modo da non essere visto dalla folla che applaudiva sulle sponde. Dal che si desume, una volta di più, e del resto lo sottolinea lo stesso Bartolini nell'articolo intitolato "La mano invisibile in Cina", il carattere propagandistico dell'impresa maoista. E fu sempre Bartolini a rivelare al mondo intero che il sex-simbol degli anni cinquanta-sessanta, Brigitte Bardot, con quel musetto maledettamente francese, lo sguardo sensuale e una vitina da vespa che innamorava, era stato un maschietto, un uomo, prima di operarsi giovanissimo a Casablanca, sotto il falso nome di Bébert Rigaut. Notizia travolgente, non crede?
- Direi eversiva sul piano storico del costume - risposi io, quasi meccanicamente, sdraiato sul mio lettino, senza voltarmi verso Fresco che mi stava di fianco, preso un po' alla sprovvista dalla domanda. Mi ero lasciato incantare a tal punto dalla storia di quegli scoop dimenticati che mi pareva di non sentire più le mani sinuose della mia fisioterapista, oliate da una pomata balsamica, scivolarmi lungo il braccio sinistro.
- Sempre al fiuto del Bartolini - proseguì Fresco, ormai inarrestabile nel suo racconto - si deve il ritrovamento di alcuni filmetti porno, ufficialmente anonimi, ma da lui attribuiti, grazie alla testimonianza di un nipote dell'operatore che girò le scene di quelle pellicole in bianco e nero, piene di schifezze erotiche, a un giovane regista di Chicago, un tipo ambiziosetto con l'hobby del disegno, un certo Walt Disney.
Quel pomeriggio Fresco mi parlò a lungo del genio giornalistico di Sandro Bartolini. Per lui era "un mago dell'informazione", un "acchiappa notizie" imbattibile, un Nobel dell'anticipazione giornalistica. Insomma si sentiva che Fresco era velatamente affascinato da quel personaggio della carta stampata di cui io, fino ad allora, lo ammetto, ignoravo l'esistenza.
Venni perciò a sapere di altre scoperte fatte dal Bartolini nel decennio 1960-1970. Fra queste, una in particolare mi colpì. Un episodio dai risvolti politici a dir poco inquietanti.
Dopo anni di ricerche, Bartolini era riuscito a scovare una vecchia fiamma di Winston Churchill, una certa Clorinda Novás Calvo, di professione interprete, una bellezza tipicamente ispanoamericana, capelli neri, lisci e lo sguardo da felino buono, che Churchill aveva conosciuto nel 1921 durante un soggiorno a Cuba.
Sembra che i due, anche dopo che Churchill fu nominato primo ministro, continuarono a incontrarsi nei luoghi più impensabili, dentro un furgone per la distribuzione del latte e persino nel ripostiglio di un negozio per articoli da regalo nel quartiere di Southwark.
L'amante cubana di Churchill raccontò al Bartolini (che poi lo scrisse su il Corriere di Mestre) che una volta, nell'inverno del 1943, fu ospite a Buckingham Palace. Mentre attraversava da sola un lungo corridoio, elusa fortuitamente la sorveglianza, aprì una porta credendo fosse quella di un bagno e invece si ritrovò per errore in un'enorme sala tappezzata di quadri antichi e lì, insieme al re Giorgio VI, vide lo statista inglese con il classico mozzicone di sigaro stretto fra le labbra. I due erano in piedi davanti a un caminetto fiammeggiante, il re aveva dei fogli nella mano destra: entrambi erano vestiti in abiti femminili e discutevano preoccupati sulle misure da prendere per arginare il pericolo dell'espansionismo bolscevico.
 
(Tratto da: Paolo Albani, La governante di Jevons, storie di precursori dimenticati, Campanotto Editore, 2007. In alto: Oggetti di carta con applicazioni in ceramica di Federica Cipriani)

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