Jul
15
Maledetto Amato!
Mar, 07/15/2008 - 05:59
Il 24 aprile scorso Amato e Trasciatti tennero una lezione sulla poesia alla scuola di scrittura Barnabooth. In realtà, fu un gran putiferio dall'inizio alla fine, soprattutto perché Amato rimbeccava di continuo Trasciatti, lo offendeva a più riprese finché questi, al colmo della misura, gli mostrò il bastone nodoso con cui è solito placarlo quando passa il segno. Alla sola vista dello strumento punitivo, Amato si mise composto sulla seggiola e smise il suo contegno indecoroso. La cosa che più lo irrita, infatti, è sentire parlare bene dei suoi libri pubblicati, trattandosi per lui di sola carta straccia. Nel pessimo rapporto che intrattiene con ciò che scrive, Amato ritiene degno di nota solo ciò che sta scrivendo in quel dato momento ed è logicamente ancora inedito. Appena i suoi versi compaiono a stampa, egli inizia a spregiarli e a spregiare pure coloro che li pregiano. Sa, insomma, rendersi veramente antipatico.
Quella che segue è la lezioncina del Trasciatti, fatta di frasi prese qua e là nei libri delle scuole superiori e nelle recensioni sui giornali. Cosa aveva da berciare Amato? Non c'è una sola parola attribuibile al Trasciatti, ha copiato tutto.
Lenzioncina del Trasciatti sulla poesia di Amato
In modo un molto approssimativo e parziale possiamo definire la poesia come una forma espressiva che mira ad usare meno parole possibili, a fare economia di parole, a esprimere uno stato d'animo, un concetto, una visione del mondo nella maniera più concentrata possibile. Da questo movimento centripeto ne viene fuori uno centrifugo, cioè da questa volontà di concentrare il massimo di senso in ogni singola parola, viene fuori una molteplicità di significati nella parola stessa, la parola cioè si carica talmente tanto di senso da risultare spesso oscura e interpretabile quasi all'infinito. Un esempio tipico è la poesia ermetica, il "m'illumino d'immenso" di Ungaretti per intenderci. Si può dire che l'oscurità, un certo grado di oscurità, specie nel novecento, sia diventata la norma, sia una sorta di cifra identificativa della poesia con cui il poeta si diverte a giocare, a imbrogliare i lettori. E' come se nel discorso di un poeta ci fossero sempre un mucchio di cose sottintese, implicite. La poesia è una forma di espressione fortemente implicita, non dispiegata, non squadernata. Il poeta non articola mai un discorso con tutti i nessi logici e causali che ci vorrebbero per capirlo, quelli se li tiene per sé, o ne dice alcuni e ne tace altri, o dice quelli sbagliati, insomma tende sempre a confondere le carte, a depistare dal senso comune e dalla logica comune.
Infatti, si dice spesso che la poesia non va capita ma sentita, un po' come la musica. E sicuramente è vero, in poesia la comunicazione che si stabilisce tra il poeta e il lettore non è di tipo logico-razionale, ma di tipo prevalentemente emotivo-affettivo. In fondo è questo che distingue la poesia dalla prosa. Il che non vuole assolutamente dire che la poesia sia "sentimento", "effusione sentimentale", "confessione", anzi, questa di solito è brutta poesia, è poesia retorica. Comunicazione prevalentemente emotiva/affettiva non vuol dire parlare delle proprie disgrazie e nemmeno dire quanto vogliamo bene a qualcun altro o quanto lo odiamo, ma è suscitare nel lettore delle sensazioni, produrre una euforia della mente, ma anche dei sensi, o al contrario una disforia, un senso di abbattimento o di scoramento. E questo può essere fatto anche senza esprimersi con un discorso perfettamente logico e ordinato per nessi causali, ma anzi può essere fatto accorciando le distanze fra le parole, provocando dei veri e propri corto circuiti logici.
Detto questo, fatta questa premessina, va anche detto che ci sono dei poeti che raccontano, che narrano delle vicende e, quindi, in una certa misura possono essere capiti e scrivono per essere capiti razionalmente, perlomeno anche razionalmente, un po' razionalmente, a tratti. Si possono fare tanti nomi, restando nel novecento: Guido Gozzano, l'ultima produzione di Eugenio Montale, molte cose di Giovanni Giudici...Roberto Amato.
Amato, nella "nota di credito" del suo ultimo libro "L'agenzia di viaggi" dice di essere grato all'editore per averlo inserito in una collana che non è solo di poesia perché lui, Amato, in realtà voleva scrivere un romanzo. In effetti, nei suoi due libri pubblicati (e in quelli ancora inediti), Amato ha costruito una sorta di autobiografia fantastica, un racconto di se stesso un po' intermittente, senza una cronologia e una logica rigorose, una serie di sprazzi narrativi che hanno qualcosa del romanzo, anche se è un romanzo esploso, un po' arruffato e di cui si sono perse molte parti.
Dico autobiografia fantastica perché Amato, per esprimere la sua visione del mondo, il suo sentimento della vita, per raccontarci il suo essere nel mondo, non poteva limitarsi ad una narrazione realistica, ma doveva mischiare il quotidiano con lo straordinario, l'esistente con l'immaginario, le cose terra terra con i voli mentali più arditi. Così i suoi libri sono pieni di personaggi veramente romanzeschi, nel senso di memorabili come quelli di un romanzo e che fanno imprese, direi bislacche e atroci, al di fuori di ogni verosimiglianza. Sono personaggi domestici (mogli, figli, madri, padri, nonne) ma tutti si ritrovano a galleggiare in uno spazio e in un tempo imprecisato e si muovono come figure mitiche, di una mitologia personale di Amato che affonda nell'infanzia e finisce per essere una rappresentazione grandiosa del cosmo.
E' questo il bello delle poesie di Amato, il suo continuo andare e venire come un pendolo dall'infimo al sublime, dal microcosmo al macrocosmo, dal dettaglio banalissimo alla vertigine metafisica. Io qui leggerei un brano tratto dal Profumiere (che è il titolo di una sezione dell'Agenzia di Viaggi):
Il carretto è perfetto
e svolge il mondo sotto le sue ruote
e sale sale
verso gli ultimi cerchi del mercato
stamani vado
tra gli avventori (ai piani bassi)
del primo Paradiso
gli venderò senz'altro
sacchetti di lavanda per le ceste
dei corredi
domani potrei scendere
o salire
a profumare armadi e cassettiere
camicie e scapolari
lo so
si fa così
me l'ha spiegato bene il vecchio Argo
a giri lenti si conquistano i clienti
si comincia dal basso
dalle donnine che profumano il bucato
(le contadine scendono
al mercato)
e passo passo
siamo saliti fino agli Angeli Minori...1
Amato ha inventato un modo di procedere per false argomentazioni, un ragionar sbagliando che lo distingue fra mille. I "perché", gli "infatti", gli "e così" di Amato è raro che dimostrino qualcosa. Di solito stanno lì per sviare, sembra che conducano ad una argomentazione stringente e invece non sono altro che ponti tra categorie del pensiero inconciliabili, unite solo da qualche parziale somiglianza. Prendo una pagina da "Il viaggio di nozze", penultima sezione dell'Agenzia di viaggi: L'io poetico-narrante pensa alla moglie e dice:
Le ho detto che già prima di conoscerla
mi piaceva sfogliare le riviste mediche
e soprattutto i vecchi manuali
di psichiatria infantile
perché
io mi ci sono sempre ritrovato
ma in fondo
ci trovavo anche lei
che fa tutte le cose al contrario...
Come faceva a ritrovare la moglie nelle riviste mediche se ancora non la conosceva? E' un discorso insensato, illogico, a meno che non si voglia attribuire al poeta una sorta di pre-scienza, di pre-veggenza. Ma non è così. E' che nella sua mente illogica e infantile, tutto convive al presente come nell'inconscio, i rapporti di causa e di effetto, l'ordine cronologico degli eventi è abolito, o meglio, è reversibile. Infatti, la moglie fa tutto al contrario
(perché dice che tutto
è il contrario di tutto
e così non si arriva mai a nulla)...
Così un modo di dire colloquiale, da frasario quotidiano (dire tutto e il contrario di tutto) diventa affermazione ontologica: tutto è il contrario di tutto, e quindi ci innalziamo (apparentemente) di livello, il discorso passa dalla comunicazione ordinaria, anzi, stereotipata, alla considerazione filosofica, che è poi una filosofia da chiacchiera al bar, perché se tutto è il contrario di tutto non si conclude, non si arriva da nessuna parte,
non si arriva nemmeno a Roma
(le dico io)
e sì che a Roma portano tutte le strade, Roma è veramente un luogo comune del discorso, della poesia, del viaggio, del turismo, dell'umanità tutta. Ma il poeta e sua moglie, che nella finzione libresca gestiscono un'agenzia di viaggi, sono la negazione stessa del viaggio
infatti a Roma
non ci siamo mai stati
certo ci piacerebbe
vedere (come tutti)
il Colosseo
e il Vaticano... La Cappella
Sistina
il Giudizio Restaurato
ma...
non è proprio possibile2
E tutto nasce da quel "non si arriva" che slitta da un'accezione all'altra (non si arriva a nulla, non si arriva a Roma), tutto nasce dal gioco verbale tra il significato astratto (non raggiungere uno scopo) e quello letterale (non raggiungere un luogo geografico, fisico). Da qui di nuovo si rimbalza nell'astratto, anzi, nell'improbabile realtà di una coppia di finti viaggiatori, di negatori del viaggio, di individui stanziali votati all'organizzazione di viaggi altrui ma che sono impossibilitati a muoversi. E tutto questo si srotola sulla pagina rapidamente da un verso all'altro. Senza che ce ne accorgiamo siamo presi da un vortice di incongruenze che suscitano il sorriso perché sembrano discorsi senza senso, anzi, proprio perché sono discorsi senza senso, ma con l'apparenza di un ragionamento, di un'argomentazione razionale.
Insomma, direi che qui siamo oltre il realismo, oltre il referto quotidiano, oltre lo spaccato di vissuto. C'è il mondo esterno e quello interiore mescolati insieme, l'esperienza dei sensi e i voli (o le paludi) della mente, il diurno e l'onirico. Contraddizione in forma di parola, dicevo prima. Ma si potrebbe anche dire ambivalenza della parola e del pensiero per indicare questa caratteristica distintiva di Roberto Amato. Il discorso scivola continuamente da una classe logica a quella opposta, dall'alto al basso, dal fuori al dentro, dal sopra al sotto, dal letterale al metaforico, dall'astratto al concreto. Il gioco degli slittamenti analogici è continuo. Si dirà che in poesia è normale procedere per somiglianze e opposizioni, che il linguaggio poetico è analogico. Ma Amato ha trovato il modo di dissimularlo, come fosse quella la norma del linguaggio.
1 L'agenzia di viaggi, p. 79
2 L'agenzia di viaggi, p.151
(In alto: il Trasciatti, foto di Claudio Pozzi)
smetti di maledirmi e di scrivere sempre le stesse cose spacciandole per roba di giornata. ci vogliono notizie fresche. te ne do una io. pare che amato sia spirato vittima di una pestilenza che avrebbe colpito la sua casa e decimato la sua nutrita (e malnutrita) famiglia.
roberto
vedi, sei proprio cialtrone, non guardi neanche quello che leggi, ho scritto che è roba del 24 aprile, non è roba di giornata. comunque la notizia dello sterminio di casa Amato è un'ottima notizia, strano che i telegiornali non ne abbiano parlato.
dir tra
tutti schifo, amato fa schifo, i fratelli vannini fanno schifo.
roberto amato
Quando ho visto la parola "fate" pensavo tu ti fossi redento e avessi iniziato a scrivere una fiaba. Invece sei il solito bestione maldicente e infingardo. Se continui così, non lo scriverai mai un romanzo. A cor gentile rempaira sempre amore, ma a cor infame ritorna sol catrame.
dir tra
fate bene a indignarvi direttore, amato è uno schifo d'uomo, uno spiritato disbulimico. proteine ci vogliono. e frustate.
roberto amato
Le proteine se le potrebbe procurare da solo, ad esempio andando dal macellaro a comprare un po' carne. Le frustate gliele do io volentieri, anche a nove code.
dirtrasha
fate male dirtrasha a dire macellaro e non macellaio. rimerebbe con letamaio porcaio troiaio ma anche con SAIO. è noto infatti il francescanesimo dell'amato (da cui la proverbiale carenza proteica).
roberto amato
Mma guardi, macellaro fa rima con porcaro, porchettaro, somaro, mannaro, coguaro...ma assuona anche con breviario, quindi vede, caro Amato, che il suo pseudo-francescanesimo ne esce intatto. Comunque smetta di concupire le poltrone che la abbracciano e si dia ad un vero ascetismo stilitico (e stilistico), scriva questo benedetto romanzo che dice di voler scrivere. Sempre che per scrivere un romanzo sia necessario darsi all'ascetismo (cosa di cui dubito). Perlomeno, non prima di molti anni di sollazzamento materiale e carnale.
dir trasha
il breviario non ha la minima assonanza col macellaro. assona, invece, con la brevità del suo cerebro, e con la ceruminosità del suo orecchio intasato da una suppurazione (diuturna) di proteine animali.
sulla mia stilità non ci sono dubbi. come sa piscio su un piede solo in equilibrio sul manico di una scopa.
gli sguazzamenti nei truogoli li lascio a lei dirtrasha. come diceva de andré "dal letame non nasce niente dalle punte dei lapislazzuli nascono i sollazzi interiori".
Perché va a disturbare il De Andreis buonanima? Disturbi allora il De Sanctis o il De Benedictis se vuole tanto fare l'asceta. Che il mio cerebro sia breve non c'è dubbio, e per fortuna - direi - non è oblungo e filaccioso come il suo che sembra una seppia. Ecco, il suo cervello è buono giusto per farci un sugo per gli spaghetti. Lo dica a sua moglie che il pesce lo cucina molto bene.
il caro direttore suo