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Orti urbani
Gio, 05/07/2009 - 22:31
"Nelle periferie delle metropoli industriali, lungo le scarpate delle ferrovie, nei recinti di capannoni abbandonati o in altri spiazzi non costruiti, sono comparsi ormai da parecchi anni
piccoli appezzamenti, in genere strettamente addossati tra loro, di terra coltivata ad ortaggi e piccoli frutti. Si tratta dei cosiddetti Orti urbani, che rappresentano il risultato, conseguente in genere ad un'occupazione abusiva del suolo, dell'opera di centinaia di persone (spesso anziani ex-contadini inurbati) che cercano di ridurre le uscite del bilancio familiare autoproducendo una parte dei propri alimenti. Questo fenomeno non ha mancato di attirare su di sé l'attenzione di urbanisti ed amministratori locali che hanno dedicato ad esso convegni e pubblicazioni e sono giunti, talvolta, a destinare estese aree cittadine a questo impiego.
Gli Orti urbani, in effetti, hanno una certa importanza sociale, specialmente per quanto riguarda gli anziani, in
quanto fonte di gratificazione e di svago per il coltivatore; mentre dal punto di vista del reddito prodotto, pur non svolgendo un ruolo apprezzabile su scala nazionale, possono costituire un sostegno non indifferente all'economia domestica di pensionati a basso reddito. Gli Orti urbani tuttavia, per il discontinuo abusivismo che li caratterizza, per l'abituale uso di materiali di recupero che in essi vien fatto nella recinzione e nella costruzione delle immancabili baracche per ricovero attrezzi e per il fatto di cumulare spesso anche la funzione di luoghi di deposito di vecchi oggetti, possono costituire un ulteriore motivo di degradazione dell'aspetto generale delle aree metropolitane. Ciò almeno fintantoché non si addiverrà ad una regolamentazione urbanistica ed architettonica del fenomeno, similmente a quanto già da tempo avviene nei Paesi del Nord e dell'Est europeo."
(Grande Dizionario Enciclopedico UTET, Appendice 1985, pp. 668-69; nella foto: periferia di Praga, Photo Monika)
Vestiti floreali e intermittenti si curvano e si drizzano dietro alte file di pomodori negli orti periferici. Fluorescenze di cavoli e cardoni. Teorie di fagiolini rampicanti. Spinose falangi di carciofi. Nel riquadro scuro di una finestra spoglia un canarino in gabbia attende la sera scalpitando: il tramonto ritarda.
Le massaie nelle loro sgargianti stoffe a fantasia, continuano la raccolta vespertina di domestici ortaggi e genuini (così elle credono).
E il giorno strascica i piedi pigramente. A tratti pare di notare un'accelerazione, un repentino affrettarsi delle nubi, un incupirsi istantaneo dell'aria. Ma sono falsi allarmi.
Sulla città geometrica, sugli schemi mentali rigorosi, sugli itinerari precisi dei ragionieri all'uscita dall'ufficio incombe una larga smagliatura temporale, un accordo dissonante, una minaccia...
Il canarino stizzito si mangia le tre unghie delle zampe.
(ALESSANDRO TRASCIATTI, Prose per viaggiatori pendolari. Ed. Mobydick)