Jul
13
Roberto Amato: Il disegnatore di alberi
Lun, 07/13/2009 - 09:32
Recensione di Franca Mancinelli, pubblicata su "Poesia", n. 240, luglio/agosto 2009
Roberto Amato è un grande architetto della leggerezza, uno dei poeti che più ha saputo abitare il vuoto: arrampicato su un albero, in bilico su un tetto o sporto fino al limite del davanzale, ha costruito un mondo suo dove, come in un gioco di bambini, gli elementi della realtà vengono rovesciati, cambiati di posto. In questo universo, come nel mito e nella fiaba, figure umane si confondono con animali e piante, in una continua metamorfosi, in una germinazione di parentele che dalla famiglia affonda in tutto il creato. Ad osservare e disegnare tutto è l’occhio del bambino, ora adulto, pacato nel riconoscere la propria follia, la visuale distorta che lievita fino a congiungere l’impasto più materico con gli angeli, “i culi delle nonne” con il cielo, con un riso trattenuto e serio che non si nega nulla, consapevole della libertà che ha saputo conquistarsi e, con Beckett, che «non c’è niente di più comico dell’infelicità». Dall’esordio con Le cucine celesti al suo secondo libro, L’agenzia di viaggi (editi entrambi per diabasis nel 2003 e nel 2006), Amato amplifica la tendenza ad intrecciare brevi sequenze di storie, inseguendo il contrarsi e il dilatarsi del campo visivo, come per un impulso a soggiacere e a liberarsi dal potere degli oggetti che, ad un tratto, escono dalle consuete proporzioni. Tutti i suoi libri sono attraversati da un’aria musicale di riprese e motivi in dialogo tra loro, come atti di una commedia agro-dolce, episodi di un tragicomico romanzo in versi. Compare nella seconda parte de L’agenzia di viaggi una sezione, Lettere a Elsa, che anticipa la struttura del suo libro più recente, Il disegnatore di alberi (elliot, 2009). Qui l’originalissimo mondo di Amato, in bilico tra la leggerezza dell’onirico e il filo sottile che gli permette di “non volare via”, di non salire al cielo come una delle colorate figure di Chagall, s’innesta sulla scia di un libro (le Lettere a Milena di Franz Kafka) che possiamo immaginare rimasto a lungo sul comodino dell’autore, a lievitare nel sonno, a “nutrire” le sue parole “perseguitate” dal bianco. Sulle presenze della moglie, della madre e del dottore, già comparse come richiami all’ordine e alla ragione, prevale quella dell’amata lontana. A lei, con una sincerità disarmante, il protagonista indirizza i propri dolci deliri, confessando paure e ossessioni. Quanto più si mostra “incosciente”, fragile e in preda ai suoi soliloqui, tanto più sorprendente si fa l’immaginazione, salda la casa costruita sul vuoto, perché: «Non c’è nulla di giusto in questo punto del mondo. / Nulla di mio e di tuo / interamente. // Ci sono solo gli altri che ci prendono alla sprovvista / e ci abitano / quando nel sonno ci lasciamo attraversare / come ponti di carta». Non importa se lei sia una donna spiata nella sua vita matrimoniale, una bambina che lo guarda mentre lui con la sabbia “ricostruisce il mondo”, un albero amato, abbracciato fino a desiderarlo umano: chi legge diventa lei, il destinatario di queste lettere che hanno costruito un’altra casa, “lassù”, nel bianco della pagina, nel “silenzio che cresce” e porta verso un’altra realtà. Ma non pensiamo ad una fuga: la poesia di Amato è sempre intessuta con un doppio filo, abita la leggerezza come la quotidianità. E se la sua meravigliosa ironia può dare l’impressione di non afferrarlo mai, proprio come un uccello selvatico che si appoggia sui rami più bassi, ricordiamo che il vuoto «pneumatico» da cui si origina la sua voce, è anche quello di una presenza che la nostra mano non potrà mai accertare abbastanza (così nel gesto che apre il libro e lo chiude con le parole di San Giovanni).
Roberto Amato, Il disegnatore di alberi (elliot, Roma 2009, pp. 93, euro 14, 00). In alto: una bozza di copertina che non è mai apparsa.
Ora, se io fossi un poeta andrei fiero di una recensione così.
Ma se io fossi un poeta me ne sbatterei di una recensione. come poeta vorrei volare alto e al massimo difendere il mondo altro dove mi abbevero di metafore immaginifiche, empatia e quant'altro. E Amato, grazie al cielo, mi par molto così.
Mi piace quell'essere umano lì. Amato, dico. E mi piace anche come e cosa scrive. C'è che mi rode che non sono un poeta. Anzi, se la mattina mi lavo occhi e orecchie viene fuori della materia implasmabile. Sogni atroci. Se fossi un poeta avrei una via di fuga anche con questo caldo e anche senza il libeccio che soffia.
Mi toccherà passare un'altra estate impantanato nei rumori molesti dell'animazione acquapark mentre leggo le recensioni.
Libetico
Sarebbe bello se anche il Sommo si degnasse di lasciare qui qualche Sua parolina. Ma figuriamoci, starà cavillando con qualche intelligenza angelica. Grazie di essere tornato, Libecciuolo.
direttabile
Concordo. Sarebbe bello parecchio.
Io non vado e vengo, non temere tradimenti o eclissi.
Solo che non tutto m'interessa al punto di parlare, né tutto m'interessa al momento giusto per parlare. Così mi sono perso molte occasioni di presenza, accidenti. Ma ho anche abbastanza preso vanto nell'assenza.
Libesco e Libentro