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Discorsetto sulle antologie
Ven, 12/07/2007 - 20:08
La pubblicazione, esattamente un anno fa, dell'antologia di Gino Ruozzi, Favole, apologhi e bestiari (BUR, gennaio 2007), mi fornisce l'occasione per fare una riflessioncina a voce alta su questo tipo di libri. Non tutti amano le antologie, anzi, molti le detestano perché sanno di scolastico, di cose da imparare, sembrano un po' libri per ignoranti, per gente che non sa nulla di letteratura e vuol fare bella figura se gli capita di essere invitato a cena da gente colta. Io invece le amo molto, proprio perché sono libri rassicuranti, come condomini dove abitano un mucchio di scrittori. Però la vita di condominio spesso è difficile. Allora diciamo che le antologie mi ricordano le corti di campagna, che forse erano un po' meglio. Ma insomma, il fatto è che questi sono libri di conoscenza perché evidenziano nessi, elementi permanenti, costanti. E' ovvio che per conoscere a fondo un autore bisogna poi prenderlo di petto e ficcare il naso nei suoi libri. Però le antologie, le raccolte ragionate di pagine scelte, assolvono la funzione di guide, di bussole rincuoranti nel gran mare della letteratura e dei secoli, proprio perché mettono a confronto. Sembra un discorso banale, ma non lo è così tanto. Il raffronto, la scoperta di continuità fra un testo e l'altro, a molti dà fastidio, penso anche agli autori stessi che spesso hanno paura che venga rubata loro un po' di originalità. A questo proposito, anche se non è in diretto rapporto con le antologie, cito volentieri un passo del saggio Le costanti e le varianti di Francesco Orlando (Il Mulino, 1983). Orlando parla dei presupposti metodologici della critica letteraria, dell'analisi, dell'interpretazione. Ma è un discorso che calza a pennello anche per quell'operazione apparentemente più semplice di accostamento orientato di testi, per la costruzione di un centone, di un'antologia:
"Era diffuso, negli anni '50 e '60, uno stadio in cui pareva sì rinnegata l'opinione che compito esclusivo della critica fosse il giudizio di valore; ma non ne era sradicato il presupposto, la fedeltà al carattere ineffabile o inconfrontabile del testo, anzi della pagina o del frammento (...) La vera e tenace resistenza era ad ammettere che non si capisce né si conosce mai per intuizione diretta, ma sempre per confronto con qualcos'altro. O meglio, nell'operazione inevitabile del confronto - che per definizione fa riconoscere certe costanti e certe varianti - la resistenza era ad attribuire ogni importanza reale alle costanti, sottraendola all'esclusivo momento individuale delle varianti" (p. 8). E ancora: "ogni confronto di costanti è il miglior modo di rendere giustizia alle varianti, non fosse che in virtù della solidarietà logica fra i due concetti: l'individualità di un passo, di un testo, di una personalità non hanno niente da temerne e tutto da guadagnarci" (p.10).
Costruire un libro fatto di pezzi di altri libri, realizzare un florilegio, un libro ideale, cos'altro è se non riconoscere delle costanti fra un testo e l'altro? Certo, a volte l'elemento in comune è del tutto sommario, superficiale (un'antologia di poeti italiani o di narratori, che so, del XVIII secolo). Eppure, anche in questi casi, i testi reagiscono come elementi chimici quando sono messi l'uno accanto all'altro, e a volte il risultato è sorprendente...
A.T.
Leggi anche Daniele Abbiati su Gino Ruozzi: Favole. Così bestiali, così umane
Trasciatti vergognati!
n.v.
...della mia paginetta. Dico solo che ci sono. Va bene, tolgo il riferimento.
Aldobaldo
così va meglio