• Kabala on Gio, 11/27/2008 - 07:27

    Rispondo qui ad Antao Sacarolhas: sono persuaso che il testo base di questa discussione faciliti maggiormente alcune elucubrazioni tipo queste.

    Innanzitutto avverto, guardonescamente: davanti alla canonica di don Trasciatti si stanno ammucchiando
    fascine e pancali. Tutto lascia pensare all'imminente erezione di un
    rogo anti-eresia o di una pira che suggelli nel fuoco un qualche
    sacrificio umano alle divinità cobolde che di nascosto egli venera.

    Non
    so se il sito del neo-editore sia il luogo giusto per vezzi teologici quali lo stabilire
    da chi dipenda l'ortodossia cattolica (se orto-dossia significa giusta
    fede, sicuramente la gerarchia ne é custode. Ma custode non vuol dire
    padrone... quest'ultima frase mi evoca immagini di una
    perversità indescrivibile, che lascio al surreale del nostro
    Torquematti).

    La letteratura, penso io (e così svicolo all'idea
    che la/le divinità siano espressione isterico-creativa dell'uomo, idea
    per me non del tutto infondata ma certamente dallo scarso valore
    teoretico ed esistenziale), è il (forse IL) punto di raccordo tra la fantasia, l'esperienza, la materialità e la mistica. Scrivendo, comunichiamo
    tanto i sogni quanto la merda, tanto le zolle quanto le nuvole.

    Fare
    letteratura è fare anche teologia. Anche, non solo. Ma spesso in molti
    componimenti striscia un riferimento al trascendente che non può
    restare anonima "licenza poetica". La cosa secondo me potrebbe meritare
    specifica riflessione in proposito.Se scrivo comunico un'idea del mondo. Creo un mondo, più o meno parodia del reale.

    Più o meno ortodosso, direi. Ma scrivere in qualche modo è figurarsi Dio - essere Dio stesso? - con la postilla che questo Dio non è del tutto immaginato o creato da me, proprio perchè io non mi creo nè m'immagino quando scrivo. Io sono.

    Anzi, per essere eretici fino in fondo, Ego sum qui sum (Es 3.14).

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