• Kabala on Dom, 11/16/2008 - 22:54

    Direttore, sappi che il Vannini mi fa arrossire non poco. Penso di non meritarmi tutti quegli encomi, ma al contempo di meritarmi ancora la tua attenzione critica ed agguerrita come è stato finora: le tue critiche  mi fanno crescere nella comprensione e mi rivelano lacune di preparazione teorica e pratica che devo urgentemente colmare.

    Per questo continua, o sommo direttore, a spiegarmi, stimolato dalle obiezioni ai tuoi commenti che ti farò qui di seguito.

    Sul rapporto tra la teoria e la pratica, penso che chi ha la teoria (e non se ne bei nell'immobilità degli autistici)  metta in pratica la teoria, ma chi non ce l'ha metta in pratica l'aria fritta. Dunque meglio averla, la teoria, che non averla.

    Certo che un racconto fatto per spiegare una teoria è un pessimo raconto. Ne sono convinto, tanto che mi vergogno perfino di aver una volta scritto testo di tal fatta. Ma questo, e lo sai, non è un racconto che spiega una posizione metafisica. E' un esercizio di scrittura che mi è stato imposto in una lezione alla Barnabooth, in cui non c'era spazio per la teoria (mia).

    Il prodotto di critica e quello di scrittura  sono due cose diverse, però.

    Si scrive con dei canoni che sono propri di un'arte pratica, pur tuttavia si critica uno scritto secondo dei pregiudizi filosofici ben definiti di carattere estetico e logico.

    Proprio su un argomento logico, mi pare, si fonderebbe la tua critica più risolutiva. Tu sei disposto a credere che il protagonista possa far tutto in assenza di lei, ma nulla in sua presenza. Questa è una cosa assai stramba. Io mi accorgerei immediatamente, ma anche te, di una intruione in casa mia e tra le mie cose. Se però il tipo è così bravo (o lo è diventato, tramite appostamenti e osservazioni) da non far mai intuire la vittima della sua presenza ed è così abile da recuperare un mazzo di chiavi della casa, è molto verosimile che riesca anche a dormire una notte sotto il letto di lei.

    Mi sembra che gli indizi tornino.

    Tu vuoi che il racconto "spieghi" una coerenza. Il racconto invece, a parer mio, ti "mostra" una coerenza. Mi insegni anche te che il racconto non deve spiegare nulla, nè sostenere tesi, nè descrivere concetti.

    La credibilità non è una dote capricciosa, per il lettore, ma la sua attitudine irrinunciabile fino a che nel testo non se ne dia prova contraria. Forse è in questo punto che sta la diatriba: per te la notte del guardone sotto  il letto di lei è una prova contraria alla credibilità.Per me no. Ma su questa divergenza inconciliabile potremmo discutere anni.

    Piuttosto dai discorsi tuoi e del beneamato psicologo sto iniziando ad intuire il come e il perchè della caduta nel finale. Per come la vedo io neanche qui è una questione di credibilità, ma più propriamente di tono. Il cacciatore che diventa cacciato, il misterioso inquilino che diventa un banaleguardone, l'amore nel dettaglio sgretolato dalla trivialità imbevuta di alcolici: questo sì, aveva bisogno di un altro respiro e di una ben diversacollocazione all'interno dell'equilibrio della storia.

    Nell'ipotesi che invece mi stia sbagliando, sul tema della credibilità forse non ci ho ancora  davvero capito nulla. E questo è grave.

    Dottore, cosa mi consiglia? Un prozac? Un'enterogermina? Un voltaren?

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