LUNGOCOSTA
Scolii al portolano
tirrenico di M.M.
Come antidoto all’ubbia, in giornate fredde, ma serene, totalmente all’asciutto, ben dentro la terraferma, ho commentato a modo mio i disegni e gli avvertimenti di un portolano tirrenico, pubblicato più di quarant’anni fa e perciò quasi del tutto superato. In quel quasi ho trovato diletto. Le frasi didascaliche (in maiuscolo) sono copiate dall’autore del trattatello di navigazione mentre i commenti sono in corsivo.
Gli ultimi due scorci si riferiscono all’Elba.
La Spezia
Due pagine consecutive, interamente occupate dal disegno del golfo, ripreso dall’alto: a sinistra la visione notturna, a destra quella diurna. La terra, tratteggiata di nero, delinea in negativo il profilo della rada come una testa o un albero su cui lumeggiano i fari.
Nella mappa successiva (a fari spenti) appaiono i nomi e il braccio di mare scompare tra le fauci della costa.
Curioso che in fondo al golfo, si aprano a ventaglio la Zona militare, il Porto commerciale e un’area indicata dalla parola DEMOLIZIONI.
Guerra e commercio con l’inevitabile, corteggiata, pausa a cui alacremente tendere.
A PORTIGLIONE C’È IL CAPOLINEA DI UNA TELEFERICA PER IL CARICO DELLA PIRITE
Trovo che il disolfuro di ferro, di un giallo civettuolo che gli ha fatto meritare il soprannome d’oro degli stolti, cesellato in cristalli cubici, pentagonododecaedrici ed anche ottaedrici – dorico nelle striature triglife che si alternano in senso longitudinale – sia perfettamente in simbiosi con l’accesso alla fiumara di Portiglione, poco più in là di quello scalo o porto d’antichi.
Una via d’acqua tortuosa che il portolano precisa passo passo, con disegni ingenui e febbrili, quasi volesse semplificare al massimo, fissandola in mente al punto da percorrerla ad occhi chiusi.
Simbiosi che nasce, in primo luogo, da un’osservazione di carattere generale.
NEL GOLFO DI FOLLONICA IL MARE È QUASI SEMPRE MANEGGEVOLE ANCHE QUANDO FUORI È MOLTO BRUTTO. FREQUENTI BARRE E BASSIFONDI LUNGO LA COSTA CHE È SABBIOSA.
Tutto quello che è a portata di mano, per occhi acquosi e avidi, luccica ingannevole come la pirite. Un mare maneggevole appunto, facile.
A sua volta, l’inganno non sta nel celare, ma nel mostrare il pericolo, danzandoci accanto.
LE BARCHE SEGUONO UN CANALE CON FONDALI MINIMI DI CIRCA UN METRO CHE PASSA DAL LATO DI TERRA DELL’ORMEGGIO DELLE VECCHIE CHIATTE.
Dalla chiglia al fondo l’altezza non supera quella di uno sgabello. La barca procede su un inguine, tra fango e alghe.
VERSO LA META’ DELL’ORMEGGIO CHIATTE SI PUNTA VERSO TERRA COME PER PASSARE GIUSTO IN MEZZO AI DUE TRALICCI CHE SONO INFATTI BASATI IN MARE. PER ENTRARE NELLA FIUMARA SI LASCIA A SINISTRA IL TRALICCIO PROSSIMO ALLA FOCE.
Con mare calmo, il bassofondo rossiccio si distingue facilmente dal blu del
canale. Diversamente, tutto illanguidisce nel dubbio. Ma come premio al zig zag, c’è un grumo di case.
IL COVO.
Buffo e tenero questo scalpicciare fino al canale di scolo del Padule di Scarlino che raccoglie anche le acque del torrente Pecora e che, periodi di magra a parte, s’allunga non più di duecento metri, subito sbarrati da un ponte.
Tanto basta, però, per fare locanda. Ripenso ancora alla pirite che oltre al debole valore minerario, occupa lo sguardo con quel suo sistemarsi in figure regolari, in angoli, in rotte? Minime.
Dopo Portiglione, il portolano che sto consultando riporta tre nomi: cala Maritima, cala Violina che nel 1968 venivano definiti “due posti per fare il bagno in pace!”
L’autore lo sottolinea ed enfatizza con un punto esclamativo, capace da solo di produrre quella sensazione di vuoto che, oggi, i paesaggi perlopiù nascondono o sbattono in faccia, inestricabilmente avvinta a panorami di abbandono. L’effetto pare simile, ma in realtà il vuoto qualifica uno spazio imponderabile mentre un posto abbandonato, al contrario, finitizza il vuoto.
Contraddizione in termini e di conseguenza estraniante. Il terzo nome è Torre della Civetta alla foce dell’Alma.
Oltre, la costa piega verso il largo a formare un’ala, seminando in mare gli scogli Porchetti e l’isolotto dello Sparviero, dove due frecce, altrettanto esclamative, convergono da nord e da sud, tirandosi dietro il tu di una frase imperiosa e al tempo stesso rassicurante.
Puoi passare tra lo scoglio grande e i PORCHETTI
Quest’ultimi sembrano riecheggiare il vecchio toponimo di punta Troia, ancora esistente, ma riassorbito dal più aereo punta Ala. Addirittura aeronautico visto che saltò in bocca ad Italo Balbo mentre sorvolava il promontorio, diventato quasi un’appendice corporea e personale per l’aviatore che, innamoratosene, ammarò e comprò settecento ettari, appartenenti, negli anni Trenta, al Cottolengo.
Punta Ala in omaggio agli idrovolanti di base nella laguna di Orbetello.
Per punta Troia e i suoi Porchetti bisogna risalire, forse, più indietro nel tempo ad altri fasti, a quel porcus troianus, servito intero alla mensa di Trimalcione.
Troianus, perché gravido non di Achei, ma di uccelli arrosto. Il più familiare “troia” deriverebbe, da qui, il suo doppio senso.
Bocca d’Ombrone c’è ancora il paesaggio vuoto e drammatico della antica maremma. IMPONENTI BANCHI DI SABBIA SI SPOSTANO ALLA FOCE
E si mineralizzano, onde comprese, come in un quadro di Carrà. Ci vuole una mano primitiva e un occhio ossessionante per dipingere la piatta solitudine di simili marine, dove cielo, mare e terra sedimentano senza aria o con un tale vento che asciuga i pensieri.
Fantastico sulla bocca e il labbro nord dell’Ombrone, teatro in versi di un’elegia tirrenica, quella di Rutilio Namaziano, del suo Ritorno in Gallia.
Il diario riporta, il 20 novembre del 415 o del 417 dopo Cristo, terza tappa dopo la partenza da Portus Augusti, un attendamento di fortuna.
Lui vorrebbe entrare nel fiume, ma i marinai insistono per proseguire fino a che il vento cala e scende la sera. Allora:
Litorea noctis requiem metamur arena
Tracciamo un campo notturno sulla spiaggia
dat vespertinos myrtea silva focos
un boschetto di mirti offre fuoco alla sera.
Parvula subiectis facimus tentoria remis
Facciamo piccole tende con i remi
Transversus subito culmine contus erat
E un palo di traverso, tetto improvvisato.
(Einaudi, traduzione di Alessandro Fo)
AMPIE SPIAGGE LUNATE… Attenzione al LIBECCIO che scende dalle colline a raffiche rabbiose.
Qui, la costa ha fianchi che lo sfiorano e l’astro pare entrarvi.
Poi, però, l’avviso disegna una falange, un rettangolo, fatto di minuscole piramidi, che dai rilievi punti e scacci ogni indulgente chiaro di luna.
Capo d’Enfola durante la stagione viene avvicinato dai TONNI.
Il gran pelagico, dicono, abbocchi quando si è distratti o fuori di pensiero.
Fuori, mentre lui il tonno naviga, con pelle ed occhio d’abisso, dentro quel blu
di cui è tinto e che la velocità muta in acciaio.
Forse, per morire, da giugno a settembre, sceglie il più distratto ed inumano.
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io leggo, Dal falco. zitta ma leggo.
Monna Fosca ed io leggo di voi