Appartiene all’adolescenza del Poeta e al suo legame con la madre anche l’episodio ispiratore di questo Idillio agreste:
Alle sette di mattina
s’alza l’Ape Regina,
vaga sull’aia, sorvola la risaia.
Riposa un colonnello dei dragoni
sotto l’ombrello
ma senza pantaloni,
e dietro un fico
l’Alvara soffia in bocca a Lodovico.
Suonano i tafàni la fanfara
ed una vacca
all’ombra d’un bemolle
fa la cacca.
In quel periodo la famiglia Gazzilloro si era ormai trasferita da Vaglia a Busto Arsizio per seguire meglio lo sviluppo della banca di proprietà e la signora Andreina Gazzilloro – che come ho detto si dilettava nello studio del canto – soleva trascorrere le vacanze estive con i figli in una villetta isolata della campagna brianzola. Questo relativo isolamento le consentiva di dedicarsi a vocalizzi e gorgheggi in piena libertà
Più volte, quando doveva esercitarsi in albergo o nella casa di città, gli altri ospiti avevano protestato, i vicini si erano lamentati; le erano anche giunte lettere con insulti e minacce. Un giorno una serie di vocalizzi dal do al si e viceversa aveva fatto imbizzarrire il cavallo di una carrozza che passava sotto le finestre. Il vetturino si era infuriato e uno dei passeggeri, una signora in stato interessante, aveva rischiato l’aborto. Un’altra volta il carro di un vinaio era stato rovesciato dal quadrupede terrorizzato e le botti si erano sfasciate sul selciato. Dopo quell’incidente il delegato di pubblica sicurezza aveva diffidato la signora Gazzilloro “dall’esercitarsi di voce in modo tale da indurre irritazione, timore o qualsivoglia altra forma di turbamento in persone e animali”.
Dunque donna Andreina preferiva fare i suoi vocalizzi in campagna, dove pare che solo le cicale e le galline dei pollai più vicinini ne patissero danno. Secondo le cronache di La Nazione Agricola le cicale ammutolivano e cadevano dagli alberi, fulminate e scosse dalla forza degli acuti, mentre le galline smettevano di fare le uova. Il quotidiano scrive anche che per evitare antipatiche lamentele, la signora dava in anticipo ai contadini dei dintorni piccole somme di denaro come rimborso anticipato per le uova non prodotte.
Una mattina Torquato e Titina si erano alzati che la madre era già uscita per l’abituale passeggiata in campagna, nel corso della quale si rafforzava i muscoli dell’addome e la voce con esercizi appropriati. La cameriera aveva preparato la colazione per i ragazzi ed era andata a fare la spesa.
Di solito, mentre facevano colazione, i figli potevano sentire i gorgheggi della madre anche se questa si era allontanata molto e aspettavano tranquillamente che tornasse. Ma quella mattina la voce si era interrotta presto, senza che maman ricomparisse. Titina non se n’era data pensiero ed era rientrata in casa, “attratta dalle arabe fattezze di un giovane tappezziere che stava sostituendo la carta ad una parete”, come scrisse nel suo Journalet intime. Il fratello, invece, rimasto a gingillarsi in giardino, vedendo che la madre non tornava e non avendo niente di meglio da fare, decise di andare a cercarla. Anche perché sperava d’incontrare Alvara Bruzziconi, una contadinella del podere vicino che gli “faceva sempre venire un certo formicolio all’inguine”. (Lettera 102 nella raccolta Lettere di Quatino (Torquato) Gazzilloro a parenti ed amici…).
Secondo il saggio del Perricone La spada e l’arbusto, il futuro poeta, esplorando il boschetto alla ricerca di maman, si sarebbe imbattuto in un ufficiale dei Dragoni (all’epoca impegnati nelle manovre proprio in quella zona) che si intratteneva con la signora Gazzilloro (l’Ape Regina, appunto). Sempre secondo Perricone il poeta ne avrebbe ricavato un forte turbamento, non sappiamo se per aver scoperto i due in colloquio intimo, se perchè il militare si prese con lui delle libertà oppure se per entrambe le cose. A conforto della sua tesi il critico cita un brano da Dragoni e cavalleria leggera, ecc.
Numerose testimonianze di cameriere, nobildonne, mozzi di stalla, maniscalchi e poeti, affermano che l’esuberanza sessuale dei Dragoni, soprattutto degli offiziali, era irrefrenabile. La lussuria di questi irruenti centauri in divisa li spingeva al trotto, al galoppo o di carriera verso qualsivoglia pertugio potesse placarla.
Sempre secondo il Perricone un certo antimilitarismo del Poeta – chiaramente testimoniato dai versi “Pace, pace, il miglior fuoco è quello di brace” che gli procurarono forti critiche durante la spedizione di Massaua del 1885 – risalirebbe proprio a questo episodio. Tuttavia, prima di accettare senza verifiche l’ipotesi maliziosa dello studioso, vorrei ricordare che il Perricone, per quanto esimio critico, era balbuziente, piccolo, zoppo, strabico, con la gobba, il labbro leporino, l’alito fetido e le unghie incarnite: niente di più probabile che invidiasse e detestasse Torquato Gazzilloro per i suoi successi in campo femminile.
Gli ultimi versi di “Idillio agreste” sublimano quell’integrazione tra poesia e natura che un’osservazione attenta della campagna ci suggerisce. I tafani, forse eccitati dalla carnalità del dragone e/o della vacca, saettano per l’aere suonando la loro musica, mentre, quasi ipnotizzato da questa melodia (“all’ombra d’un bemolle”), immemore di tutto e di tutti, l’umile e generoso animale soddisfa una sua naturale esigenza.
Durante l’estate successiva a quella che gli aveva ispirato L’Ape Regina, Torquato Gazzilloro ripeterà la passeggiata in campagna. Ammaestrato dalla precedente esperienza si guarderà bene dal cercare la madre, che come al solito era uscita al mattino presto, per timore di incontrarla con qualche ufficiale dell’artiglieria a cavallo (i corpi militari si addestravano nella zona avvicendandosi negli anni). Si preoccuperà, invece, di cercare, sia pure con cautela, proprio quell’Alvara Bruzziconi che, dietro un fico, gli sembrava soffiasse “in bocca a Lodovico” e che sempre quando la vedeva (una volta o due l’anno), gli provocava il medesimo fremito al basso ventre.
La troverà dietro un pagliaio dove stava dando il granturco ai polli e, con la scusa di aiutarla, un chicco dopo l’altro, la seguirà. fino al fico suddetto. Qui si stenderanno all’ombra e cominceranno a passarsi per gioco un filo d’erba da una bocca all’altra. Il filo diverrà sempre più corto e sfuggente, finché l’Alvara farà capire al poeta che quel giorno dell’anno prima, mentre s’intratteneva con il giovane Lodovico, non stava affatto soffiandogli in bocca, come Torquato aveva pensato. E dopo un ultimo morso allo stelo gli rivelerà i segreti del sesso.