Liberal, 26 marzo 2011

di Trasciatti il 19 aprile 2011 · 2 commenti

Cronache dall’abisso

di GIANFRANCO DE TURRIS - Copyright (c) Liberal

Un bel po’ di tempo fa nell’era pre-computer Umberto Eco affermò che appena vengono delle idee le si devono appuntare su quel che si ha sottomano per non dimenticarle: lui, ad esempio, lo faceva sulle scatole dei fiammiferi, e per questo probabilmente ha intitolato la sua pagina settimanale su L’Espresso, “La bustina di Minerva”. Sicché io penso che il professor Giuseppe O. Longo oltre che sulle scatole di fiammiferi appunti le proprie idee o scriva i propri frammenti di racconto anche sui fazzolettini di carta, i tovaglioli dei ristoranti, i fogli e le buste che si trovano nelle stanze degli alberghi, sugli scontrini, sui biglietti ferroviari, sui tagliandi dell’autostrada, sui menù dei ristoranti. Nonostante sia uno specialista di informatica non ce lo vedo troppo ad appuntarli sul notebook elettronico e sull’Ipad. Perché altrimenti non si spiegherebbe la sua mole di scritti non solo scientifici (è docente di Teoria dell’Informazione all’Università di Trieste), ma soprattutto letterari (non solo racconti e romanzi, ma anche opere teatrali e radiodrammi): considerando le date che Longo pone pignolescamente alla conclusione di tutti i suoi testi si potrebbe dire che non passi giorno che egli non scriva qualcosa, dovunque si trovi e, ipotizzo, su qualunque “supporto” cartaceo e ormai magnetico abbia sottomano. Insomma: Nullo die sine linea secondo quanto diceva Plinio, intendendo linea come riga di testo e non tratto di pennello.
Però nel caso di Giuseppe O. Longo (O.? nemmeno sotto tortura, disse una volta, rivelerò quel che vuol dire) non vale l’altro motto, in genere esatto, secondo cui la quantità va a detrimento della qualità, perché quasi sempre il risultato della sua scrittura – stile e contenuto – ci offre risultati più che originali, degni di essere letti e ricordati, anche se essa si concretizza quasi elusivamente in racconti o frammenti di racconti che non sono visti di buon occhio dalla cosiddetta grande editoria italiana che li snobba. Eppure spesso si tratta di storie eccezionali sin dalle primissime da lui pubblicate, Il fuoco completo (Studio Tesi, 1986) con moltissime aperture verso l’Immaginario declinato in tutti i modi e sfumature possibili. Da allora il professor Longo ha al suo attivo tre romanzi e una dozzina di antologie di racconti (quasi tutte presso Mobydick di Faenza), oltre ad alcuni di testi teatrali.
Scienziato a tutto tondo, Longo ha saputo coniugare come pochi l’incontro delle famose “due culture”, spesso intrecciando i temi della sua specializzazione (informatica, nuovi media, interazione uomo/macchina, sviluppi futuribili di questa connessione ecc.) con una fantasia prodigiosa e, si potrebbe dire, senza confini. Molti si sono posti la domanda: ma da dove vengono le idee? È quel che mi chiedo nei suoi confronti anche io: ma da quale fonte iperuranica gli giungono tante idee a getto continuo? Per di più quando il suo eclettismo non scade mai in un dilettantismo, ma ha sempre uno spessore considerevole.
L’occasione per rendersi conto dei due volti di Giuseppe O. Longo, quello “fantastico” e quello “realistico” ci viene dalle sue due ultime raccolte di storie pubblicate. Il Ministro della Muraglia (Trasciatti), che ha per sottotitolo “dieci racconti dall’abisso” illustrati con i suggestivi disegni di Loretta Schievano; e Squilli di fanfara lontana (Mobydick) che riunisce invece ventidue “frammenti” di varia lunghezza.
Non che sia facile “classificare” le storie di Longo perché in esse si mescola di tutto e di più in una illimitata immaginazione amalgamata con una scrittura totale, coinvolgente, che ti assorbe e ti conduce nei labirinti di vicende di per sé anche banali ma che vengono elevate proprio per come sono scritte. Non che l’autore usi un linguaggio criptico o avanguardistico: al contrario proprio nella politezza della struttura, nell’uso di vocaboli spesso desueti sta la sua caratteristica forza. E poi il giro di frase quasi ipnotico, una specie di “flusso di coscienza” che rompe gli argini e trascina via il lettore facendo sì che anche le trame di fatti i più comuni e di ogni giorno diventino qualcosa di “diverso”. Realismo magico si sarebbe detto un tempo. Ma qui non si può perché assai spesso le trame di Longo sono crude e terribili, angosciose, ossessive.
Ad esempio, cosa è “l’abisso”, tema comune alle storie de Il Ministro della Muraglia? E’ il “vento dell’abisso” che investe Giulia in un non identificato aeroporto africano quando è alla mercè di un cosiddetto “deposito vivente di organi”. Cioè un essere umanoide, forse simile alla scimmia, creato dall’ingegneria genetica, una specie di macchina di carne che serve per prelevare gli organi necessari ai trapianti, ma che a differenza di quel che pensa il suo creatore, non è vero che non provi alcunché (Aviatore al tramonto). Sono gli “abissi del nulla” in cui aleggia il suono da cui avrà origine il Creato, in una breve racconto in cui si descrive la nascita della realtà (Cosmogonia elementare). Sono i resti di una fornace, tra paese e città, oltre la quale nessuno riesce mai ad andare, ferma lì con i suoi ruderi, la sua oscurità, i suoi segreti (Fornace vecchia). E’ l’abisso della consuetudine e della inconsapevolezza (Il Ministro della Muraglia) o della burocrazia che domina la nostra vita (Registrazione), due racconti che definire buzzatiani o kafkiani sarebbe non rendere merito a Longo. E’ l’abisso di un passato così lontano che degli uomini si è persa memoria o che l’ha distorta nei loro confronti (Rimpianto degli uomini). E’ l’abisso dello spazio che separa lontani pianeti dalla Terra, anche se questi senza rendersene conto la condizionano in un evento epocale (I pianeti della Stella Polare). E’ l’abisso de tempo che ad un certo momento comincia ad andare a ritroso, anche se nessuno se ne rende conto (Premesse a Tirteo). E’ l’abisso di una morte assurda e insensata, senza motivo, soli ad anni-luce dal proprio pianeta (Venuto da Udvar). E’ l’abisso del mare, dell’orrore, di una mostruosità senza fine “venuta dall’anisso”, in una storia “lovecraftiana” (Dall’abisso).
Da contrappunto a queste trame in cui fantascienza, fantastico, orrore, surrealtà si mescolano fra loro dandoci un’atmosfera trasognata e angosciosa, ci sono i “frammenti” di Squilli di fanfara lontana, ventidue scritti fra il 1996 e il 2008, in cui gli spunti sono più “banali”, più realistici: una confessione al commissariato, una scena di seduzione conviviale, una periferia, una stanza d’albergo, un viaggio notturno in moto, un episodio fra i gitani, una notte in bianco da amici americani, la discesa in sotterranei attrezzati a ristorante, l’incendio in un museo e così via, sembrano non solo frammenti di una, dieci, cento vite diverse, ma spunti per racconti mai scritti, capitoli di romanzi mai terminati, anche se – in sé – hanno tutti una loro compiutezza, che peraltro presuppne un “prima” e un “dopo”. Come se nella mente, e nella penna (matita, computer) di Giuseppe O. Longo premessero per venire alla luce e prender vita mille e mille vicende, sentimenti, casualità, esistenze, personaggi, tragedie interiori.
Che, ultima notazione, spesso sono in simbiosi con il paesaggio che li circonda. Specie nelle storie de Il Ministro della Muraglia è come se la natura si riverberasse nelle percezioni e nelle sensazioni, e viceversa. Sin pensi allo struggente e terrificante (per le implicazioni che comporta) Aviatore al tramonto che apre il libro (un titolo che non fa sospettare nulla): si apre con la descrizione del fiammeggiante tramonto africano sulle vetrate dell’immensa aerostazione e che trova riscontro nel sangue della donna stuprata dallo scimmiesco “deposito vivente di organi”. O il cielo e il mare desolati intorno al faro che si riverberano sui sentimenti del guardiano e dell’uomo che lo accompagna ne I pianeti della Stella Polare. O lo scenario esterno e interiore che accompagna l’arrivo del planetoide Tirteo (Premesse a Tirteo). O anche qui il mare il cielo e le banchine che non appartengono al suo pianeta ce guarda desolato l’uomo di Udvar in esilio (Venuto da Udvar). E infine l’isola avvolta dalla nebbia degli uomini-pesce che costruiscono una torre-richiamo per far sorgere dalle acque il mostro orribile che li divorerà (Dall’abisso).
Leggere i racconti di Giuseppe O. Longo ci immerge insomma in un mondo straniante, diverso ma allo stesso tempo uguale a quello in cui ci troviamo casualmente a vivere. E proprio per questo tanto più angoscioso.

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costanza aprile 22, 2011 alle 10:52

bell’articolo, viene voglia di leggere il libro!
bella anche l’illustrazione, mi ha attirato molto.

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direktor aprile 22, 2011 alle 11:27

mi fa molto piacere, le illustrazioni sono di Loretta Schievano

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