Un giorno Cristo, a Stia di passaggio, si travestì da barbone per misurare il buon cuore della gente.
Così, giunto davanti alla prima casa, bussò alla porta e il macellaio si affacciò alla finestra.
“Salve macellaio, la tua casacca è sporca di sangue.”.
“Questi sono i miei casi. C’è altro?”.
“Sono un povero affamato, buttami un pezzo di san budello.”. Ma il macellaio non riconobbe il pezzente e gli rispose: “Credo che la merda dei miei cani basterà a saziarti, serviti da solo.”.
E richiuse gli scuri. leggi tutto…
Che ci fanno, qui?
Che ci fanno, qui, la stanza dei canarini nella casa del parroco e la conchiglia del porcaro, usata come una tromba marina?
La tonaca di Don Mario batte al vento con tenacia e brilla nell’afa simile ad un getto d’acqua sul selciato. Un attimo di cupa allegria, d’ombra, mentre riprendi fiato.
Su per il paese di sasso, dentro la chiesa, fiorita di gerani bianchi e di muffe violacee, la sua voce sostiene il peso, s’incrina e s’inchina, sfiorando i sassi mentre scorre continua la piena dei discorsi, degli sgarbi e delle scuse, tutta l’angusta prosopopea di razze e villaggi.
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Cielo bluètte e stelle la sera. Come domani lo è stato anche ieri. Sulle scale verso il giardino, i piedi a penzoloni. Sandali di cuoio leggero, ai piedi calzini in cotone un po’ larghi. Se scende un fiocco di capelli lo tiene il vento, appena sollevato pare ancora più bello. Nessuno parla e non parla anche il tempo, fino a quando non è ora di andare non è ora. Finché è prima, di andare, a dormire, tutti insieme, nella casa, si sta in attesa. L’albero ha i suoi suoni accatastati, lascia sentire un puntinismo di cinguettii, un fruscio davvero elegante che agita rami che poi non si vedono. Intanto quasi un tremito uscire dall’ombra delle foglie risponde senza domande allo sguardo inclinato della bambina, che siede. Sembra si ritiri dalla vastità, il cielo, o è l’albero che si alza. Intanto qualcuno fuga i sogni voltandosi indietro, uno scatto – poi la finestra si apre col passo del vento. La casa, così, ha una presenza, e i capelli immobili di lei. Le mani tornano al buio disciplinate dall’ombra, come prima di loro le foglie.
Lucca ha, tra le tante caratteristiche, quella di essere una città di approdi. Qui, infatti, approdano figure estranee alla realtà lucchese e, nello stesso tempo, capaci di diventarne parti integranti, di essere, proprio loro – così diverse dagli abitanti della tranquilla e conformista città murata – talmente importanti da caratterizzarne la fisionomia, diventando figure più cittadine di quelle realmente cittadine.
Occhi azzurri – quasi cerulei – e chiome grigie, un’educazione comme il faut e un eloquio raffinato ed elegante, oltre a una cultura non comune e fuori da qualunque gabbia scolastica, accomunano una bella novantenne e uno splendido quarantacinquenne. E vite, per entrambi, avventurose.
Vita alla grande, per la signora, che, dopo un’infanzia dorata a Milano, sposa un nipote di Volpi di Misurata trasferendosi a Roma.
Vita alla grande, tra balli e mondanità. Poi l’incontro fatale con la cultura e la politica, che si incarnano per lei nel giornalista Antonio Calvi, direttore per tre anni de “La voce repubblicana”. Da qui nuove nozze e nuove figlie. E, tutt’intorno, il clima inebriante de “Il mondo” di Pannunzio.
Da qui non più balli e mondanità, ma, invece, ore piccole spese in discussioni e dibattiti. Una nuova vita, dunque, per la nostra novantenne. Leggi ancora…