Ancora un articolo per Longo

di Trasciatti il 31 luglio 2011 · 0 commenti

A Kuluttua, capitale sfarzosamente decadente dell’Impero, vive e presta la sua opera il protagonista de Il Ministro della Muraglia, racconto centrale dell’omonima raccolta pubblicata recentemente da Giuseppe O. Longo per le edizioni «Trasciatti», ma costituita da dieci storie composte dal 1979 al 1997. Ciò che innanzitutto colpisce, in questa che è una silloge assolutamente minima dell’amplissima e variegata produzione di Longo, è la sostanziale uniformità di registro stilistico che caratterizza le narrazioni: pur compresi in un arco cronologico molto ampio e benché diversi per trama e per ambientazione, questi «racconti dall’abisso» adottano uno stile aulico e lepidissimo entro il quale l’autore, forte delle sue competenze in ambito scientifico, non disdegna di inserire parole ed espressioni tratte dai linguaggi settoriali, arricchendo inoltre gli intrecci con plurimi riferimenti ai più audaci orizzonti delle scienze sperimentali. Il Ministro della Muraglia è, come accennavamo, la narrazione centrale dell’opera, da cui non a caso prende il nome l’intera raccolta: il protagonista-narratore, alto funzionario dell’apparato burocratico di un impero in tutto simile all’antica Cina e addetto, appunto come «ministro della muraglia», alla cura di tale imponente costruzione, creata, secondo la versione ufficiale, per difendersi da mostri marini vagamente descritti in antichi libri, si trova, attraverso un serrato succedersi di accadimenti, a comprendere come ormai nessuno a Kuluttua, ivi compreso il debosciato imperatore da cui egli cerca invano aiuto, creda nell’esistenza di quella muraglia alla cui tutela il ministro si dedica invece anima e corpo. Di fronte alla paradossale vicenda di un idolo dissacrato ormai da tutti, ma per la manutenzione del quale, in un accentuato vortice di paradossalità, lo stato mette a bilancio gran parte delle proprie disponibilità economiche, non possono che venire alla mente alcuni antecedenti letterari a cui Longo ha saputo guardare quali sapienti fonti di ispirazione: per l’atmosfera rarefatta e sfumata di Kuluttua il riferimento più immediato appaiono le calviniane Città invisibili, mentre l’attesa vissuta dal protagonista per un evento destinato a non verificarsi mai, vale a dire l’epica battaglia sulla muraglia, che non esiste, contro l’assalto di mostri parimenti inesistenti, non può che evocare tanto il destino di Giovanni Drogo, protagonista del buzzatiano Deserto dei Tartari, quanto, più in generale, la tematica dell’attesa fine a se stessa che caratterizza tanta letteratura novecentesca e trova infine la sua più geniale realizzazione nel beckettiano Waiting for Godot.
Ma la narrazione di Longo spazia, come accennavamo, anche verso altri orizzonti, quello orrorifico-cybernetico di Aviatore al tramonto, nel quale la protagonista è vittima di una bestiale aggressione da parte di un repellente essere, creato artificialmente in un qualche laboratorio al fine di utilizzarlo quale «contenitore di organi» per i trapianti, e di cui ella ha appreso l’esistenza in una criptica «conferenza sull’ingegnetica»; quello prettamente kafkiano di Registrazione, in cui il protagonista, privo, per motivi del tutto misteriosi, di un altrettanto misterioso «certificato di registrazione» che una macchina burocratica sospesa tra il totalitarismo e la metafisica continua a negargli, finirà per dissolversi in quanto impossibilitato ad esistere materialmente in mancanza della certificazione formale della sua stessa esistenza; quello propriamente fantascientifico di Cosmogonia elementare, Venuto da Udvar e Premesse a Tirteo.
Eppure, nonostante la varietà di temi e di ambientazioni la profonda uniformità di questa raccolta deriva, oltre che da un registro stilistico invariato nel corso degli anni, anche da un obiettivo, quello della meditazione, pur da punti di vista diversi, su alcuni temi centrali inerenti l’esistenza umana – il suo senso, le sue illusioni e le sue contraddizioni – al cui raggiungimento Giuseppe O. Longo si dedica con l’acuta introspezione di un intellettuale poliedrico e con le capacità narrative di uno scrittore dalla straordinaria creatività, giungendo così a creare un preziosissimo livre de chevet per riflettere sull’uomo e la sua natura.

Costanza Geddes da Filicaia

(Caffè Michelangiolo, anno xv, n. 2, maggio-agosto 2010, p. 66)

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