Il fiume copre l’orizzonte, bagna la linea fin dove giunge lo sguardo. Nella stagione secca i contorni sfumano, non c’è la pioggia con i suoi violenti rovesci a dissolvere la foschia, avvicinando d’incanto i profili lontani.
Tutto rimane avvolto in un’aria stagnante, in un tremolio di braci al punto che le isole sembrano staccarsi e fluttuare secondo i capricci della corrente.
Il bollore che sale fa tremare la punta della canne palustri come il brodo di una pentola. Il fiume Zaire scorre in un’apparente immobilità, avvolgendosi nelle pieghe del letto che davanti a Kinshasa si allarga per più di venticinque chilometri, dando vita poco prima della foce ad un grande estaurio interno, il pool Malèbo.
Acqua primordiale, prima corrente che si è aperta un passaggio nella morsa del fango.
Seduti alla terrazza dello Yacht Club di Kinshasa, l’altoparlante diffonde una musica da colonna sonora, sempre uguale.
Un’eterna sigla in cui i titoli di testa continuano a scorrere senza che il film inizi davvero.
La sensazione netta, oppressiva, di attesa si legge negli sguardi, galleggia nelle conversazioni dei presenti, puntuali i fine settimana come tutti i fine settimana.
I motoscafi, allineati nel porto canale, sono già carichi di frigo portatili, sedie, tende e bocce.
Arlette ha pure pensato al budino.
Fin dal mattino, le barche dei residenti europei infiorettano otto, slalom più o meno riusciti per evitare i banchi di sabbia, brutali come la schiena di una balena.
Quando il fondo artiglia lo scafo, spingendo l’elica fuori, ai bagnanti non resta che smontare e spingere fino ai bordi del canale.
E la corsa riprende tra siepi galleggianti di giacinti d’acqua, meta uno dei tanti isolotti bianchi su cui drizzare una tenda tricolore per il pic nic.
Le ore passano scandite in ogni quarto, lentamente.
Potremmo essere in villa, in una qualsiasi campagna d’Europa.
Prima che arrivino le zanzare
Tuttavia, se a tavola si beve un Bordeaux servito da una bottiglia appena imperlata di ghiaccio, stoviglie e bicchieri si riciclano dopo una veloce sciacquata nel fiume.
Mentre passa l’arrosto passa anche una piroga di zairesi, uno rimane in piedi spingendo con la pertica sul fondo, l’altro si tuffa e nuota davanti cantando.
A volte solo un breve braccio di fiume separa due “giri” diversi. Sempre di bianchi si tratta, ma divisi da gusti e abitudini così diversi da costituire altrettante tribù sopraffatte da irrimediabili etichette.
La sfida a bocce continua; le signore sono più brave ad avvicinare il pallino.
Nel fervore del gioco le lingue si mutano in un idioma franco-italo-fiammingo.
A Mano a mano che il sole scende dietro le torri di Kinshasa, la linea bluastra della riva si scurisce e le cornacchie si avvicinano, stringendo i voli intorno al campo.
Conoscono l’ora. Ancora un po’ e tutto verrà ripiegato, arrotolato, rinscatolato a tempo di record.
Rimarranno solo le impronte sulla sabbia granulosa.
Sul grande fiume non si sono boe per indicare la via del ritorno, si naviga a vista e l’idea di una birra gelata al bar del circolo, prima che le zanzare scendano a stormi, fa spingere sul gas.