Una personalità borderline. Un amore finito e mitizzato (la Ragazza Eterna). Un’amante matura e materna. E poi un altro mito, dichiaratamente banale e maschilista: cameriere e infermiere tutte curve, donne poppute che si prendono cura dell’uomo. Frequentazione di prostitute, senza divertimento, sempre tornando col pensiero alla Ragazza Eterna. Un’inclinazione per le lolite.
Grandi letture di fumetti e rispecchiamento in figure letterarie un po’ maledette – il Bandini di John Fante, i detective di Chandler – o in eroi dei comics come Corto Maltese.
Questo è Daniele Campiglia, protagonista di Borderlife (Avagliano 2011), un pubblicitario che perde il lavoro e poi perde anche l’amore. Il suo sentirsi smarrito, scollato da ciò che dava un senso alla sua vita, gli riserva uno strano privilegio: quello di vedere persone che gli altri non vedono, persone che hanno perso tutto e si aggirano, come barboni fantasma, per una Firenze nottura, triste e tutt’altro che da cartolina. Inizia così una strana vicenda per Michele, un andare oltre il limite della vita normale e tornare indietro, per poi di nuovo trovarsi tra gli invisibili nei momenti in cui tutto gli crolla addosso. Si crea una complicità, un’empatia tra lui e gli esclusi perché anche lui rischia di diventare come loro, ed è questa empatia che gli permette di vederli mentre a tutti sono indifferenti. Ma lui stesso diventa invisibile. Si materializza così l’incubo di essere trasparente, di non esistere agli occhi degli altri, di condurre una vita completamente ignorata dalla comunità degli umani. Incubo che è anche timore di sprofondare nella miseria, spauracchio da tempi di crisi: Basta un assegno protestato e non puoi fare più niente. Perdi diritti elementari. Non ti fa più credito nessuno.
Ma se questa è la cornice un po’ dark del romanzo di Marco Innocenti, la sua sostanza sta nell’incredibile, grottesco, divertente e vitalissimo serraglio di personaggi che lo affollano, descritti con tocco rapido e preciso, mai astratti, disegnati sempre nelle loro caratteristiche fisiche e comportamentali. Di Michele Campiglia resta in mente l’impermeabile verde militare che ha sempre addosso, come un anti-eroe da fumetto. Del suo amico Marcellino, una montagna di carne e muscoli, ricorderemo il mostruoso russare. E che dire dell’odioso capoufficio Natta? Indimenticabile il suo ballare scimmiesco e tuttavia spavaldo, da macho cinquantenne all’assalto di una sprovveduta biondina di vent’anni:
Sembrava uno scimpanzé con quel dimenarsi in mezzo alla pista. Ondeggiava a gambe larghe e a braccia penzoloni. Braccia lunghe, robuste e villose, che la camicia arrotolata fino ai gomiti metteva in mostra. I peli erano rossastri come i capelli, che formavano una specie di grosso cesto sopra la sua testa. Più che da scimmia, Natta si comportava da predatore. Aveva piantato il suo muso a venti centimetri da una fighetta che poteva essere sua figlia. A parte la dentatura cavallina, la ragazza non era male. Vent’anni al massimo, maglietta bianca attillata e pantaloni neri, con i tacchi alti che le tenevano su il culetto. Natta le si avvicinò fino a che la sua bocca aderì all’orecchio di lei, e le sussurrò qualcosa. La gallinella stava per finire in padella. Poveretta. Fece una smorfia che somigliava a un sorriso, lui la prese per un braccio e tutto baldanzoso, a petto gonfio come un pollo da batteria, la portò fuori dalla pista.
Ma di quest’uomo senza scrupoli ricorderemo anche la tenerezza con cui accompagna il figlioletto, Maradona Natta, sarcastico nomignolo che Campiglia affibbia al bambino per un difetto nel camminare che lo fa sembrare un calciatore che finta e dribbla l’avversario. E ricorderemo anche Tamara, la nuova stagista, di cui vedremo soprattutto le poppe, carnale biglietto da visita che la precede. Così come ricorderemo le curve della cameriera che si aggira fra i tavoli del Gipsy King. Anche di Stella19, l’amante di Campiglia, ricorderemo i seni abbondanti, ma stavolta materni e po’ cascanti, da donna matura.
In questo palcoscenico pullulante di consolatorie figure femminili, il pubblicitario Campiglia si aggira smarrito e un po’ malinconico, come quando incontra un avvocato, suo ex compagno di scuola:
Ne era passato di tempo da allora. Un sacco di tempo. Me ne accorgevo guardando la sua fronte stempiata, i capelli ingrigiti ai lati, la sua faccia seria, tirata, lontana dalla spensieratezza di quando eravamo ragazzi e il nostro mondo era un campo polveroso, due porte con le reti sfondate e un pallone, il sabato sera d’estate quando il sole sembra non voler mai tramontare. Quando correvamo dietro a un pallone ci sentivamo vivi: liberi e vivi come non saremmo stati mai più.
Marco Innocenti, che è nato a Pisa nel 1966, ha già alle spalle un cospicuo numero di titoli. Il suo romanzo d’esordio, Contro il resto del mondo, uscì nel 2000 per Baldini&Castoldi. Sono seguiti Ladri di stelle (Manni 2005), Diario di un accalappiacani (Flaccovio 2007) e La città degli uomini soli (Flaccovio 2008). Ma è anche autore di libri per ragazzi come La proteina dell’amore (Giunti 2007) o come la collana Capitan Fox per Dami editore, iniziata nel 2007 e tuttora in corso, tradotta in Portogallo, Polonia, Ucraina, Cina e Corea del Sud.
Con Borderlife, Innocenti insiste sulla linea di un vivo realismo metropolitano, che si vena di una specie di surrealismo allegorico. Non è un romanzo per ragazzi, ma conserva qualcosa di fumettistico nella caratterizzazione dei volti e dei luoghi, nelle sequenze narrative brevi, nell’aura un po’ romantica e un po’ maledetta (ma non troppo) di chi vive e racconta la storia.
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acquistato ieri, però ancora da leggere.
quando lo avrò fatto, farò anch’io la mia piccola recensione telegramma.
intanto voglio la dedica sul libro da parte dell’Innocenti.
ciao
stefano